“Può darsi che non sarai mai felice. Perciò non ti resta che danzare, danzare così bene da lasciare tutti a bocca aperta”. Lo scrittore giapponese Haruki Murakami ha colto perfettamente, probabilmente, una delle più belle virtù della danza: creare stupore e meraviglia. Le stesse sensazioni che è capace di provocare, riempiendo continuamente di vitalità e novità questa sublime arte, la coreografa barese Simona De Tullio, fondatrice nel 2005 della Breathing Art Company. Una compagnia che interviene, principalmente ma non unicamente, nel campo della produzione teatrale e della rappresentazione culturale distinguendosi sul territorio nazionale e internazionale. Simona, infatti, già coreografa ospite dal 2009 della rassegna tedesca “Tanzartfestival Giessen”, dall’inizio dello scorso anno ha portato la sua esperienza e la sua competenza in Albania, in Spagna e, soprattutto, in America con periodi di formazione a New York, a San Francisco, a Charlotte, a Miami, in Florida e poi in Portorico. L’abbiamo incontrata per rivolgerle alcune domande.
Diverse sono state, nell’ultimo anno, le esperienze di formazione in America. Ci vuole raccontare la sua esperienza?
La mia esperienza inizia ufficialmente nel 2005 quando creo la mia compagnia, la Breathing Art Company. Un momento decisivo in quanto segna l’inizio di un percorso che ha superato di gran lunga le aspettative iniziali. L’ultimo anno e mezzo ci ha visti impegnati nell’ambito dei progetti di internazionalizzazione della scena promossi dal Teatro Pubblico Pugliese e presentati prevalentemente negli Stati Uniti. La scelta degli Stati Uniti nasce dall’idea di migliorarsi, di voler “scoprire un nuovo mondo” e di potersi confrontare con una realtà altra, sia umana sia professionale ed oggi posso dire che questa scelta ha generato i suoi frutti. Nelle località richiamate, ho potuto parlare del mio lavoro, della mia poetica artistica e ho iniziato delle collaborazioni che stanno portando i loro frutti anche qui in Puglia, in particolar modo per il “Premio di danza San Nicola” che organizziamo ogni dicembre.
Come sta cambiando e se sta cambiando secondo lei il mondo della danza? Quali devono essere le caratteristiche del ballerino moderno?
Il mondo della danza negli ultimi dieci anni è cambiato molto velocemente, costringendo anche il ballerino a cambiare rotta nella sua formazione. Se si esclude il ballerino puramente classico, quello di danza moderna possiamo considerarlo oggi più performer: sempre più spesso, infatti, gli si chiede di interagire con altri linguaggi artistici, di usare il suo corpo in modo diverso negli spazi urbani, di superare l’idea del palcoscenico, pur mantenendo la danza classica come colonna portante del suo lavoro. Oltreoceano, dove il merito è riconosciuto, questo aspetto è ulteriormente evidente: si pensi alle produzioni di Broadway. Fare il ballerino oggi non è facile, significa accettare di lavorare duramente per formarsi fisicamente e tecnicamente, esser pronti a mettersi in discussione, a sacrificare un po’ le proprie ambizioni artistiche per adeguarsi al mercato artistico che spesso costringe a cambiare direzione.
Perché alle nostre latitudini, invece, il talento non sembra sia molto valorizzato? Quali i problemi più importanti, strutturali e culturali, per i quali nel nostro territorio la danza non è una disciplina molto considerata e sostenuta dalle Istituzioni?
Ormai non mi stupisco più quando vado all’estero e trovo danzatori italiani quasi ovunque o sento di coreografi che scappano in Australia o in Oriente. A un certo punto prevale la stanchezza e non si ha più voglia di lottare contro un sistema vecchio, conservativo, apparentemente democratico, ma ingabbiato in logiche di sistema, politiche e di favoritismi. Per quanto possa sembrare una lettura negativa, tuttavia, va detto che il nostro territorio è quello che presenta un elevato livello formativo, con docenti molto preparati che ogni anno sfornano talenti che poi entrano in prestigiose accademie o compagnie agenti fuori dalla Puglia. Lo verifico ogni anno, con il “Premio San Nicola”, partecipato da centinaia di danzatori e tutti con una buona preparazione alle spalle. Non è un caso, non è fortuna, è lavoro. Amareggia, pertanto, pur in presenza di alcune positività, la poca attenzione riservata a questa arte dalle Istituzioni con nessun contenitore dedicato esclusivamente a questa disciplina.
Simona testimonia tutta la sua passione, ma anche tutta la sua determinazione. Quali speranze e sogni per il futuro?
Questa domanda mi è stata fatta lo scorso anno a Charlotte in North Carolina ed oggi rispondo come allora. Sto vivendo il mio sogno ogni giorno, ma lo dico sinceramente, mi ritengo fortunata nel fare quel che faccio, poter esprimere la mia anima attraverso il mio lavoro, veder crescere i progetti, costruire e veder crescere danzatori. Donare, anche senza ricevere. Alla fine quel che conta è lasciare un segno e aver contribuito a far vivere la danza. E penso di aver costruito qualcosa nel mio piccolo.