Era partito male il concerto della riappacificazione tra Keith Jarrett e Umbria Jazz. Pubblico in piedi all’ arrivo del trio ma anche qualche foto con il flash. “See you later”, dice Jarrett, e se ne va. Qualche minuto, e ritorna. Stavolta si parte, ma quello che va in scena all’ arena Santa Giuliana è un concerto al buio. Pur di non essere fotografato, Jarrett fa spegnere le luci sul palco. Nel secondo set viene acceso uno spot, e qualcosa si vede.
Il ritorno di Jarrett era atteso non senza qualche preoccupazione. Bruciavano ancora le offese che il pianista nel 2007 aveva rivolto al pubblico, senza tanti giri di parole (“dannata città…”) per via delle fotografie che lo disturbavano.
Da qui l’ostracismo del festival (“artista sublime ma uomo discutibile“) e poi, per il quarantesimo anniversario la voglia di fare pace. Anche perchè Keith Jarrett della storia di Umbria Jazz fa parte: già nel 1974, per la seconda edizione, fu protagonista di due recital di solo piano, pochi mesi prima della registrazione del suo disco simbolo, il Koln Concert. Immagini di quelle performance umbre si trovano su YouTube e documentano una situazione molto informale, con i fotografi addirittura sul palco. Erano altri tempi, ed un altro Jarrett.
Oggi i fotografi non li vuole nemmeno alle prove. Tormentone delle foto a parte, l’arrivo della capricciosa star del pianoforte è sempre motivo di fibrillazione. Il punto è che quando poi Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack DeJohnette suonano, qualunque jazzfan è disposto a sorvolare su eventuali bizze. Il trio esiste esattamente da trent’anni e si sente. Una sintonia assoluta, quella tra i suoi componenti, frutto non solo di una lunga consuetudine a suonare insieme ma anche e soprattutto della capacità di ascoltarsi, di improvvisare e di mettere la propria creatività al servizio del trio. La musica di questa band affonda le radici nella classicità e se è vero che la formula è ormai definita e non sorprende mai, conserva però una straordinaria freschezza.
Il concerto vale le fibrillazioni: Yesterdays è un capolavoro di tenerezza, ed il lungo blues Is it really the same che chiude il primo set è ipnotico: Jarrett lo scrisse tanti anni, agli inizi della carriera quando suonava nel quartetto di Charles Lloyd ed il batterista era DeJohnette. Da ricordare nel secondo set una versione delicatissima di Bye bye blackbird ed il blues di Duke Ellington Things aint what used to be, trascinante e con il vecchio swing di una volta. Terminato il concerto, solita procedura: direttamente all’ aeroporto per volare a Nizza, base dei tour europei di Jarrett. In Italia il trio tornerà il 16 luglio a Venezia ed il 21 luglio a Gardone Riviera.