Lo ha capito Federmanager che insieme al TVLP Institute ha dato una marcia in più a 25 manager di altrettante aziende imparando anche dal co-fondatore di Macintosh e dal consigliere delle tecnologie dell’informazione di George W. Bush
Il fenomeno Amazon – il colosso della California che ormai vende tutto e ovunque – e la paura di dover chiudere, sta contagiando molte aziende. C’è chi si lamenta, ma c’è anche chi cerca soluzioni per cogliere le opportunità che si creano.
Sono ricorsi storici. Nei primi anni 90 in Europa arrivò l’elettronica fatta in Corea – capofila la GoldStar che in seguito cambiò nome in LG – e in Malesia. I coreani occuparono posizioni di mercato fino a quel momento dagli Americani proponendo monitor e altri componenti elettronici più prestanti ed economici. Negli anni 2000 è stata la volta dei dispositivi fatti in Cina, scalzando i fabbricanti coreani da molti mercati. Eppure in quella parte del mondo che si chiama Silicon Valley, nessuno si è scomposto più di tanto o si è lamentato della scomparsa dell’hardware made-in-USA. Anzi si è cavalcata l’onda trovando nuove opportunità nel software e nelle applicazioni web. Dietro ogni prodotto della Apple c’è scritto “Designed in California, Made in China”, progettato in California fabbricato in Cina. Insomma poco importa chi costruisce un circuito elettronico se il vero cuore del prodotto tecnologico è il design (bellezza e usabilità), i materiali innovativi e il software.
Questo modo di fare, cioè la capacità di immaginare un futuro che ancora non esiste e il pensare positivo, sono tutte caratteristiche dell’imprenditore, che in inglese si dice “entrepreneur”. Una parola meno usata è “intrapreneur” – letteralmente l’imprenditore che lavora all’interno dell’azienda. Sì, perché fare l’imprenditore è un mestiere duro e non tutti se la sentono. Però chi ha questo tipo di “mindset” può applicarlo anche all’interno di una azienda già creata e con una certa dimensione. Lo abbiamo notato al TVLP Institute in California con uno studio su i partecipanti degli ultimi quattro anni selezionati in circa 40 nazioni. La maggior parte sono “intrapreneur” o passano tra i due ruoli in diverse fasi della loro carriera professionale: la creazione di una impresa nuova e, dopo, qualche anno di lavoro in aziende già formate prima di lanciare un nuovo progetto imprenditoriale; la maggior parte hanno alle spalle un qualche successo e, quando dipendenti, ricoprono spesso ruoli importanti. Insomma avere un approccio imprenditoriale premia sempre, anche il dipendente.
Sono tanti i progetti sviluppati negli anni attraverso l‘intrapreneurship. Tra gli esempi più noti c’è Gmail. Erano i primi anni 2000 e alcuni dipendenti con lo spirito da imprenditore – piuttosto che licenziarsi da Google per dar vita a una nuova azienda – hanno progettato Gmail, il client di posta elettronica più utilizzato al mondo. Non è questo l’unico prodotto di punta della multinazionale californiana creato in questo modo. Anzi, una larga parte dei prodotti di Google sono stati creati dai dipendenti a Mountain View. Complice una politica aziendale che dedica una parte delle ore lavorative ai progetti “personali” che – spesso – i dipendenti vanno a presentare ai loro dirigenti. In altre parole invece di trovare investitori, le risorse vengono dall’azienda stessa e sicuramente ci sarà un salto importante nella carriera del dipendente-intrapreneur. Nel 2015 l’azienda di Mountain View ha dovuto addirittura cambiare nome in “Alphabet” per riflettere la multitudine di prodotti che oggi offre – tanti come le lettere di un alfabeto.
Quello di Google è uno di migliaia di esempi che si potrebbero fare di aziende della Silicon Valley che promuovono la cultura imprenditoriale tra i dipendenti.
L’intrapreneurship è uno strumento potentissimo che se ben gestito permette di motivare i dipendenti creando opportunità di crescita professionale e di soddisfazione personale, e che permette all’azienda di essere più competitiva creando innovazione ad un costo più basso delle operazioni di M&A (acquisizioni) o più velocemente del classico ricerca e sviluppo interno. Perché un imprenditore è “un folle” che non si ferma davanti nessuna difficoltà, che non calcola le ore di lavoro, che ha un sogno che vuole realizzare con tutte le due forze.
Stimolare le persone che quando agiscono “hanno una marcia in più” e quei dipendenti che, con un approccio imprenditoriale, dedicano parte del loro tempo lavorativo allo sviluppo di nuovi progetti per l’azienda. Questa cultura lavorativa si chiama “intrapreneurship”. Tra i primi programmi di intrapreneurship che il TVLP Institute ha fatto c’è stato quello per LG con 35 direttori generali e manager di alto livello delle varie aziende del gruppo. Evidentemente con la concorrenza cinese, anche in Corea si cercano nuovi modelli per stimolare la crescita e per continuare a competere seguendo l’esempio vincente delle aziende americane della Silicon Valley.
Ad interessarsi per la prima volta in Italia all’intrapreneurship, come strumento di crescita di un intero comparto di lavoratori è stata Federmanager che con la sua Accademy alcuni mesi fa ha creato con il TVLP Institute il progetto “Immersion Program” per 23 manager di altrettanto aziende. Il cuore dell’idea è stato condensare in una decina di giornate una esperienza super-intensiva; trasmettere la cultura imprenditoriale della Silicon Valley così come i manager l’avrebbero acquisita lavorando in California per dei mesi.
Ad aiutare a generare il cambiamento nel modo di pensare, da dipendente a “intrapreneur”, sono stati tra gli altri anche il past CTO di Intel, Michael Condry; l’ex numero due di Hewlett Packard, Julie Cavanna-Jerbic, David Carlick, co-founder di DoubleClick, la società acquistata da Google per 3 miliardi, Daniel Kottke, uno dei primi dipendenti di Apple e uno dei membri originali del team di sviluppo Macintosh, e Tony Perkins, che ha fatto parte del Consiglio consultivo per le tecnologie dell’informazione del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush.
Eleanor Roosevelt, la prima first lady ad avere un ruolo attivo all’interno della politica Americana durante la recessione degli anni 30, ha detto “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. Ecco perché l’intrapreneurship merita di essere il motto di tutte quelle aziende che vogliono continuare a prosperare e crescere. Bisogna investire nei propri dipendenti e promuovere il talento. Ma anche ai dipendenti è chiesto di non accontentarsi, di non pensare allo stipendio di oggi o fare la conta dei propri diritti, ma di rimboccarsi le maniche ed essere imprenditori. In altre parole, artefici del proprio futuro e di quello degli altri. Solo così si potrà prosperare e non solo sopravvivere.
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