È il 22 giugno 1983 quando una ragazza di 15 anni di nome Emanuela Orlandi scompare dal centro di Roma senza farvi più ritorno. È figlia di un commesso pontificio; nel corso del tempo, si capisce che la sparizione coinvolge diversi poteri forti: il Vaticano, la Banda della Magliana e anche Mafia Capitale. La sua scomparsa sarà l’occasione per raccontare la piramide omertosa che da quel momento metterà in ginocchio la capitale.
La scomparsa della giovane 15enne coinvolge un tessuto ahimè tipicamente italiano che coinvolge la politica, la criminalità organizzata e una parte anche della Chiesa. Da oltre 30 anni si attende ancora verità.
Il film diretto da Roberto Faenza non si ferma a un semplice ricostruzione storica, bensì tenta di dare nuove ipotesi per un caso sempre più avvolto nel mistero, il tutto con un’enorme delicatezza. Riccardo Scamarcio, nel ruole di De Pedis, e Greta Scarano sono i protagonisti. In un piccolo ma significativo ruolo, troviamo Alessandro Bertolucci che veste i panni del padre di Emanuela, Ercole Orlandi. Ancora una volta, Bertolucci, lucchese di nascita, riesce a calarsi benissimo in ruolo tutt’altro che semplice, un padre affranto da un dolore indescrivibile per la perdita di un figlio, o meglio per la sua scomparsa, mantenendo però una forza e una dignità emotiva esemplari. Non solo recitazione nella vita di Alessandro, ma anche direzione artistica, produzione e molto altro ancora. È un uomo che combatte ancora contro raccomandazioni, giochini politici, un mercato autorefenziato e non meritocratico; è un uomo che, nonostante quello che accade in un Paese contraddittorio come Italia, non ha smesso di amare la fabbrica dei sogni, qual è il cinema.
Chi è Alessandro Bertolucci oggi?
Bella domanda, un po’ difficile ed articolata la risposta. È indubbio che la vita riservi sempre delle sorprese, ecco che in poco tempo gli orizzonti possono mutare rapidamente. Il termine attore non lo definisce più a tutto tondo, ha aperto infatti una casa di produzione che lavora a pieno regime, abbiamo prodotto un film americano come produzione esecutiva, un progetto da diversi milioni di dollari con un grande cast (vincoli contrattuali molto stretti mi impediscono per adesso di dire altro) che uscirà il prossimo febbraio, siamo attualmente impegnati nella produzione esecutiva di un altro film straniero e abbiamo una serie tv in fase di preparazione prodotta da noi per l’Italia. Ho anche iniziato con una mia associazione culturale un percorso legato al doppiaggio presso il reparto di emo-oncologia pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Meyer, il progetto “Doppio Sorriso”, che ha riscosso un enorme successo. Sono inoltre direttore artistico del Teatro Alfieri di Castelnuovo di Garfagnana, una realtà teatrale vivace grazie ad amministratori lungimiranti e una popolazione che ama il teatro, cose entrambe rare che ci permettono di avere corsi di teatro ad ogni livello e una stagione teatrale di grande interesse.
Quando è scattato l’amore per il cinema?
È un amore che nasce tanto tempo fa, ormai sono passati oltre 25 anni. Frequentavo le scuole superiori quando incrociai un set nella mia città e fu una folgorazione: la fabbrica dei sogni mi aveva rapito. Per anni ho pensato di amare la recitazione soltanto, poi il Centro Sperimentale di Cinematografia mi aprì gli occhi mostrandomi tutte le professionalità del settore, ma solo negli ultimi anni ho scoperto di amare il cinema in generale, di essere tagliato per questo settore, di amarne i più disparati processi. Da qui il mio eclettismo.
Dal 6 ottobre ti vedremo al cinema in “La verità sta in cielo”. Per quali motivi hai accettato questo progetto cinematografico?
Non trovo molti stimoli nelle produzioni cinetelevisive nazionali, sceneggiature poco interessanti e ruoli che si ripetono all’infinito. Ho la fortuna di potere scegliere. “La verità sta in cielo” mi interessava per la tematica, il personaggio, ma soprattutto il regista.
Interpreti Ercole Orlandi, il padre di Emanuela. Come ti sei preparato?
Il mio coinvolgimento nel film è piuttosto limitato, un piccolo ruolo ma un grande personaggio. Ercole Orlandi, padre di Emanuela è stato un protagonista della tragica storia di questa ragazza e di questa famiglia. Ne ho studiato l’aspetto, i movimenti (si trovano alcune interviste in internet) e la storia. La sceneggiatura, che delinea perfettamente il personaggio con poche ma precise pennellate, mi ha aiutato molto. I miei ricordi sono poi stati fondamentali nel percorso di creazione del personaggio, ricordo tutto molto bene di quel periodo, ma soprattutto mi è sempre rimasta impressa la grande dignità della famiglia Orlandi, la loro discrezione, la loro comprensibile determinazione nella ricerca della verità.
Cosa vuol dire essere diretto da Roberto Faenza?
La direzione di Roberto Faenza è stata una bella esperienza, un’immersione in una cinematografia che va scomparendo, fatta di rispetto reciproco, grande competenza e profonda riflessione, come richiesto dal tema del film. Solo una persona della sensibilità di Faenza poteva affrontare con la dovuta attenzione un storia così attuale.
Da oltre 30 anni, la storia della scomparsa di Emanuela Orlandi continua ad avere molte domande e poche risposte. Tu che idea ti sei fatto di questa triste vicenda?
Ritengo di non avere abbastanza elementi per potere avere un’idea precisa, ritengo tuttavia che tanto sia stato fatto e detto per depistare, complicare la storia e conseguentemente prolungare lo strazio di una famiglia che, non dimentichiamocelo, attende ancora risposte. So solo che non augurerei a nessuno al mondo una tale tortura.
“Nel Paese delle menzogne, per arrivare alla verità, bisogna incontrare molti bugiardi” è la frase slogan del film. Tu sei d’accordo?
Penso sia una frase che ben si adatta a diverse vicende della nostra Italia. Siamo un Paese dalle molteplici identità, da sempre tenuto insieme e al contempo frammentato da spinte aggreganti e forze centrifughe, abbiamo dato i natali ai più grandi personaggi della storia del mondo così come siamo stati capaci di creare le più terribili e schifose realtà criminali del pianeta. La nostra realtà, forse più che in altri Paesi, è frutto di migliaia di piccoli e grandi ingranaggi che danno una varietà di macchinazioni.
Cosa ti piacerebbe arrivasse di questo film?
Vorrei principalmente che questo film fungesse da esempio per un ritorno ad un tipo di cinema che non ha paura di affrontare temi scottanti, che si fa carico di svegliare le coscienze e non solo di intrattenere.
Negli ultimi tempi, sei anche nelle vesti di produttore esecutivo. Cosa significa oggi come oggi produrre un film in Italia?
Io non produco film in Italia, me ne guardo bene. Io mi sto concentrando sulla produzione esecutiva di film stranieri. Non ci tengo affatto ad avere a che fare con un mercato chiuso e clientelare come quello italiano. Lavorare con gli stranieri è molto meno stressante e frustrante, rende molto di più ed espone a minori rischi.
Quest’intervista verrà pubblicata in Resto al Sud. Posso chiederti che rapporto hai con la parola Sud?
Credo che sia terribilmente pericoloso continuare a parlare di Nord e Sud, in un periodo in cui dovremmo allargare i nostri confini anziché restringerli. Siamo incapaci non solo di parlare da europei, ma addirittura da italiani, stiamo ritornando all’epoca delle Repubbliche marinare o dei Comuni. Io sono un sostenitore della identità italiana ed europea. Nei fatti questo significa per me lavorare senza confini (perché aggiungere confini ai già numerosi ostacoli della nostra società?), sto seguendo il progetto di un film americano che dovrà essere girato al Sud, non sappiamo ancora se in Campania o in Calabria.
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