Non dimenticherò facilmente quest’ultimo venerdì 14 giugno. Come non potrò mai dimenticare un altro venerdì, ossia quello del 17 luglio 1992. Per fortuna il recente venerdì, almeno, non lo ricorderò per la bestialità umana dimostrata dai mafiosi in via D’Amelio.
Ma l’ultimo venerdì non è altrettanto privo di violenza; violenza che parte da lontano, molto lontano ed è stata originata per colpire, dapprima un uomo, Antonio Ingroia, ora l’intera Procura di Palermo. Ieri quando ho letto la notizia delle dimissioni di Ingroia dalla magistratura, ho lanciato un urlo infernale “noooooooooo, così la diamo vinta ai poteri forti di questo Paese”, ho scritto. Ho assistito in quest’ultimi anni, non in silenzio ovviamente, al delitto civile di Antonio Ingroia.
Quante offese, quante contumelie, quante improvvide accuse e tutto questo non solo da parte di politici, ma anche dei suoi stessi colleghi, che per sopperire alle mancanze professionali, hanno trovato spazio sotto l’ala protettiva del Potere di Roma. È qui tutta la differenza, egregi signori, qualcuno vorrebbe avere non Giudici imparziali, ma “pupi” da muovere alla bisogna, secondo convenienza. E Ingroia non faceva parte di questi “pupi”: è, quindi, da abbattere. Naturalmente, per completare l’opera, occorra dare un’altra piccola regolata, ovvero colpire il capo della Procura Messineo.
Lo so che ci state riuscendo, non ho dubbi: riuscirete a ridurre in uno stato comatoso la Procura di Palermo, abbiate fede riuscirete a farla diventare una Procura di “pupi” manovrati anche da interessi mafiosi. Del resto non è una novità, guardate il passato. Altre due notizie di venerdì scorso hanno invaso la mia mente e che per certi versi, sono collegati ad Ingroia. Il Governo italiano, dimostrando a tutta Europa che le tradizioni vanno salvaguardate, lo scorso mese di aprile ha nominato quale rappresentante dell’Apem (Assemblea parlamentare euro mediterranea) il senatore Antonio D’Alì (PDL).
Ebbene, proprio ieri la Procura distrettuale antimafia ha chiesto al gup una condanna a 7 anni e mesi 4 di reclusione per il nostro rappresentante a Bruxelles, senatore Antonio D’Alì, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Giova qui ricordare che quando D’Alì è stato nominato, su proposta del PDL, dal neo presidente del senato Grasso, ho scritto una lettera privata di doglianze al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, ecco uno stralcio: “… con la famiglia mafiosa di Matteo Messina Denaro, ricercato e ritenuto l’attuale capo di Cosa nostra. La notizia ha creato in me fortissimo dispiacere, perchè non posso e non dovrò mai dimenticare i “miei migliori amici” uccisi dalla mafia a Palermo e quindi sono contrario che un uomo sotto processo rappresenti all’estero il mio Paese.
Signor Presidente, per uno come me che è cresciuto a pane e mafia, non è essenziale definire mafioso un uomo a seguito di condanna penale. Non è una sentenza che certifica l’appartenenza alla mafia: in terra di Sicilia, la gente identifica il mafioso mediante le sue “frequentazioni” che platealmente esibisce. Un mafioso, deve necessariamente ostentare il potere e quindi la mia valutazione si fonda sui quei arcaici comportamenti della mafia siciliana.
Sono qui a dirLe da palermitano che ha combattuto al mafia a fianco di uomini come Giovanni Falcone, Rocco Chinnici e Paolo Borsellino, che un pugno di disonesti non può ferire l’onore dei siciliani onesti. Io non so cosa avrà da dirvi il senatore D’Alì…..” Il presidente Schulz, che ringrazio, si è interessato del problema e mediante una lunga conversazione telefonica con un esponente del suo Governo, ho chiarito ulteriormente la mia contrarietà. L’altra notizia di un venerdì nero è quella riferibile all’ex procuratore antimafia Grasso, riportata dal Fatto Quotidiano, che insieme a Vigna, ha interrogato in carcere Gaspare Spatuzza.
Ho letto tutto il verbale e sono rimasto senza parole: ho riflettuto tanto e chissà perché le prime persone che mi sono venute in mente, siano state Cassarà. Falcone e Borsellino. Io mi auguro ardentemente che il verbale che ho letto, sia stato poi oggetto di investigazioni: ma ho il dubbio che ciò non sia avvenuto, perché altrimenti avremmo saputo del depistaggio e dell’innocenza di persone falsamente accusate di aver compiuto la strage di via D’Amelio, molto tempo prima.
Penso che se nulla è stato fatto e allora qualcuno dovrebbe assumersi delle responsabilità e trarre le dovute conseguenze. A me duole venire a conoscenza che il personaggio Orofino, citato più volte da Spatuzza, sia stato, insieme ad un altro, da me pedinato a Palermo. I loro nomi mi furono trasmessi dalla DIA e dopo vari giorni di pedinamento ricevemmo l’ordine di arrestarli: gli stessi, chiamati in causa dal falso pentito Scarantino, sono risultati innocenti per la strage di via D’Amelio.
Una cosa appare chiara e limpida. Ingroia ha pagato con l’abbandono della toga per la sua tenacia, il suo attaccamento alla Costituzione, la ricerca incessante della verità, pur scontrandosi coi “poter forti”. Però, ha speso la sua vita da Magistrato nell’interesse primario della Giustizia e non per fini personali.
Interpreto il suo malessere, anche per non aver dato risposte, non solo all’Italia intera, ma ai familiari vittime delle stragi mafiose. In particolare alla signora Agnese Borsellino. Altri colleghi di Ingroia, che oggi siedono negli ambulacri di potere, non possono dire altrettanto.
E quindi mi auguro che il dottor Antonio Ingroia, oggi politico, possa realizzare quel “bel fresco profumo di libertà” tanto caro a Paolo Borsellino. Al dottor Ingroia, persona onesta, pulita e “ ca ‘n si vinniu” (non si è venduto) va il riconoscimento degli italiani onesti. L’onestà e l’onore, ma soprattutto la differenza nell’essere Siciliani, sono le armi vincenti.