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“Indebito”, ovvero rispondere alla crisi con la cultura, la poesia e la musica. Firmato Capossela
07 Dic 2013 09:47

“Indebito” di Andrea Segre, scritto con Vinicio Capossela che nel film interpreta se stesso, è un capolavoro. Un capolavoro che nasce dall’intuito di due eccellenze italiane che hanno saputo cogliere e narrare, ognuno con la propria sensibilità e specificità, l’anima di un popolo. Un lavoro antropologico che, affondando le radici nella storia della cultura greca classica dalla quale tutti proveniamo, costruisce una narrazione capace di far coesistere musica, storia, poesia, cronaca, economia e politica. Un lavoro di sintesi che in ottantaquattro minuti è capace di restituire in maniera semplice e coinvolgente la complessità della condizione contemporanea di un Paese, la Grecia, che attraversa un tempo di grandi trasformazioni.

Non so se Andrea Segre, regista e cosceneggiatore del film documentario, o Vinicio Capossela, abbiano letto il libro di Orhan Pamuk “Istanbul”, perché il loro lavoro potrebbe essere anche la messa in scena di quel libro. Certamente ne coglie lo spirito e quella struggente e indimenticabile malinconia che solo le terre crocevia tra Oriente e Occidente possiedono. Ogni singola inquadratura così come l’atmosfera che sono riusciti a creare, si manifesta con immagini e parole che potrebbero essere le immagini e le parole del Nobel per la letteratura. Parole fissate per sempre sulla carta, in un libro che è contemporaneamente l’autobiografia dell’autore e la biografia della città con la cattedrale di Santa Sofia, capolavoro dell’architettura bizantina.

Scrive Pamuk: «Istanbul non somiglia affatto alle città tropicali dal punto di vista climatico, geografico o della povertà sociale, ma per la fragilità delle sue esistenze, per la sua lontananza dai centri occidentali, per il “mistero” delle sue relazioni umane, che un occidentale farebbe fatica a comprendere, e per il senso di tristezza, che ricorda ciò che Lévi-Strauss chiama tristesse. Per definire non il dolore che affligge il singolo, ma una cultura, un ambiente in cui vivono milioni di persone e un sentimento, il termine hüzün è molto adatto, come tristesse […]».

Le pagine di questo libro hanno come corredo fotografico scatti dell’autore in bianco e nero. Vecchie foto che ritraggono una città che non esiste più, foto non perfette da un punto di vista tecnico, ma capaci di catturare l’anima di quel popolo.

Nel film di Segre le immagini del Pireo contemporaneo e le grandi navi da carico che lo solcano evocano quelle immagini e quelle descrizioni, così come l’umanità che popola il film e i luoghi attraversati da Vinicio e i suoi amici Rebetes, siano essi uomini in carne ed ossa come Manolis Pappos, siano esse anime la cui voce proviene direttamente dall’interno del Baglamas, è la stessa umanità che abita quelle pagine. Perfino il baluginìo di un sole ormai stanco che illumina una città di sole case come Atene è lo stesso che illumina la Istanbul di Pamuk.

“Indebito” mette in scena un’umanità che non si è arresa definitivamente alla cultura omologante e dominante dell’Occidente e dell’Europa delle banche. Fa parlare, in lingua rigorosamente originale, artisti e popolo. L’interroga sulla crisi che sta attraversando la Grecia e il mondo intero. Una crisi non solo economica, come erroneamente pensiamo, ma che c’interroga sul nostro essere uomini nel mondo di oggi. Una crisi d’identità dunque che è una delle principali cause della crisi economica. E per raccontare tutto questo Vinicio Capossela, magistralmente diretto da Segre, come un novello Virgilio ci accompagna alla scoperta di un mondo vivo e pulsante, ma dimenticato, che è quello delle taverne di Atene o di Salonicco dove si suona e si canta il rebetiko.

«Il rebetiko è musica nata dalla disperazione di un’antica crisi (la fuga da Smirne) ed è una delle musiche che hanno costruito l’identità moderna della Grecia, trasportando con sé il dolore dell’esilio e la ribellione alle violenze della storia. È una musica contro il potere, non autorizzata, indebita».

Una musica vietata dalla dittatura di Metaxas per indebolire ulteriormente un popolo sottomesso e sfruttato che proprio per questo l’aveva inventata. Capossela e Segre portano dunque al di fuori dei confini geografici della Grecia, attraverso la musica e il cinema, l’identità di quel popolo e la fanno rivivere come solo gli artisti sanno fare: emozionando. In questo “Indebito” è poesia. Poesia e musica. E proprio perché poesia e musica non parla solo ed esclusivamente della Grecia o del popolo greco, ma parlando una lingua universale parla anche di noi, della nostra, comune e omologata, condizione umana. Pur non essendo un manifesto politico “Indebito” propone, con la forza evocativa delle immagini e delle parole, un cambio di paradigma perché per uscire dalla crisi non servono solo più risorse economiche, serve innanzitutto che l’uomo torni ad essere il centro di tutto. Che si riappropri del senso e del valore del tempo, perché ognuno di noi ha la possibilità di contribuire al cambiamento, ma per farlo bisogna, appunto, che si cambi paradigma. In questo senso il film svolge una funzione maieutica. Una film raro e controcorrente, «in direzione ostinata e contraria» direbbe Faber, che andrebbe proiettato nelle scuole di ogni ordine e grado perché in grado di parlare, attraverso la musica e la poesia, a grandi e piccini.

Indimenticabile e struggente, infine, la versione rebetika di “Scivola vai via”, con un Vinicio ispiratissimo, accompagnato dai suoi amici rebetes, che si muove sulle punte dei piedi in una danza purificatrice e liberatoria, «Scivola, scivola vai via non te ne andare, scivola, scivola vai via, via da me…».

Locandina_Indebito


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