Posso serenamente dire, dopo 5 giorni vissuti a Gerusalemme, di non averne capito pressoché nulla.
Quasi un sollievo, nell’epoca in cui tutti capiscono tutto di tutto, né si privano di disquisirne.
Però davvero: a parte l’idea di una complessità inestricabile, resta la suggestione di una stessa inquadratura in cui entrano contemporaneamente moschee, sinagoghe e chiese di due o tre generi diversi, più tutte le persone che vanno a pregarci dentro.
Ma, a meno forse di essere credenti in qualche dio, è una miscela non miscelata, come di olio e acqua (questa è di Arturo, come la foto qui sotto): non è buona per dissetare e nemmeno per condire l’insalata.
Una cosa rimane confermata: ci si può innamorare solo di una città canaglia alla volta. E io, almeno per questa esistenza, sono già sposato con Palermo.