Una coincidenza, forse. O, forse, il tocco delicato della carezza di Dio per ricordarci che non siamo soli, che ci sta accanto, che ci ama e soffre con noi e per noi. Chissà.
Un giorno tutto ci sarà chiaro; oggi dobbiamo muoverci nella penombra della sera. Oggi ci viene chiesto di esercitare la fiducia. Fidarsi di Dio che ci comanda, contro ogni logica umana, di andare ad abbracciarlo camminando sulle acque. Che insiste nel chiederci di calare le reti in una notte buia e senza stelle, quando il mare è avaro e la pesca è desolante.
Te lo chiede Lui, e tu, per niente convinto, obbedisci solo perché hai fiducia in Lui.
Giovanni, mio fratello, è morto. La leucemia lo ha consumato in pochi mesi. Uno spasimo straziante. Una croce pesantissima da trascinare.
Il dolore forte non lasciava spazio per riflessioni filosofiche o teologiche.
Eppure, nonostante il morso acuto che gli rubava il riposo, l’aria, la vita, Giovanni mi chiedeva: «Perché? Perché?». «Perché che cosa, Giovà?». «Perché la sofferenza, Miziò …». Già, perché la sofferenza. E chi lo sa? Nemmeno Gesù, a riguardo, volle sciogliere l’enigma. Una cosa è certa: mai il patire è vano. Come concime, misteriosamente, fa germogliare i deserti aridi delle nostre vite.
Qualche mese fa, il cardinale Sepe volle assegnarmi il “Premio san Gennaro”. Corsi a regalare a Giovanni l’opera di bronzo raffigurante il busto del santo patrono di Napoli e della Campania. «Giovà, guarda che bella, la dono a te. San Gennaro, vedrai, ci aiuterà…».
La mise sul comò in modo da poterla guardare dal suo letto. Ne andava fiero. La mostrava a tutti. La malattia negli ultimi giorni si era fatta crudele, senza scrupoli. Tiranna, disumana. Non gli era rimasto un solo lembo in quel corpo straziato che fosse risparmiato dal dolore lancinante. Sapevamo che sarebbe volato via in seguito a una emorragia o a un attacco respiratorio. Pregavamo incessantemente. In modo particolare chiedevo l’intercessione di Padre Pio da Pietrelcina, san Gennaro, san Gaspare del Bufalo, fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue. «Signore, ti prego, l’emorragia, no. Quando vede il sangue, Giovanni, va in panico …».
Aveva intuito, infatti, nonostante le mille bugie che gli venivano raccontate, che poteva essergli fatale. Venerdì, 19 settembre, è la festa di san Gennaro.
È l’ora in cui, in cattedrale, il cardinale Sepe celebra la messa e porge alla venerazione dei fedeli le antiche ampolle contenenti il sangue del vescovo martire. È il giorno in cui, in genere, avviene il prodigio dello “scioglimento” del sangue. Chiedo a mio fratello se gli fa piacere che si accenda il televisore in camera da letto. Annuisce.
Le prime immagini ci portano in casa il volto felice del cardinale Sepe mentre annuncia che il prodigio tanto atteso è avvenuto. Giovanni sta morendo per una malattia del sangue nelle stesse ore in cui a Napoli si rinnova il prodigio del sangue di un martire innamorato di Dio. Mentre, con la mia famiglia, assisto mio fratello, prego incessantemente il nostro santo patrono. Gli chiedo la carità di evitare a Giovanni, che è lucidissimo, l’emorragia che gli sarà fatale. Lo supplico di farmi questa carità. Con l’aiuto della morfina leniamo il suo dolore: Benedetta scienza quando viene in aiuto della persona umana e allevia i tormenti. Poco dopo, Giovanni si addormenta. Dorme qualche ora, poi, serenamente passa al riposo eterno.
Il bruco, tenuto prigioniero dal morbo, si trasforma in una farfalla variopinta e inizia a volare per i cieli infiniti, i tempi eterni. Mistero immenso della vita e della morte. Mistero del “confine” che separa la vita dalla morte. Giovanni ha bevuto il calice amarissimo che gli è stato offerto. Nemmeno una sola goccia è rimasta sul fondo della coppa. L’emorragia tanto temuta, però, non c’è stata. In cuor mio, ringrazio san Gennaro.
Il giorno dopo siamo riuniti in chiesa per la concelebrazione Eucaristica. Sono riconoscente al Signore per il dono della fede che ha voluto fare a me e alla mia famiglia. Certo, con Dio la vita rimane un mistero non sempre comprensibile; senza Dio, però, diventa un assurdo. Almeno per me. Mi rendo conto che è il 20 settembre, il giorno in cui ricorre il 96° anniversario delle stimmate di padre Pio da Pietrelcina.
Fu proprio la mattina di quel lontano 20 settembre del 1918, infatti, che il giovane frate cappuccino, si ritrovò con le mani, i piedi e il costato insanguinati e si spaventò. Padre Pio porterà quei segni misteriosi e veri nel suo corpo per mezzo secolo. San Pio e san Gennaro: due uomini che con la coerenza della loro vita, e col sangue versato, ci ricordano l’altissimo prezzo pagato da Cristo per la nostra salvezza.
Giovanni ha spiccato il volo nella festa di san Gennaro, il suo funerale si è svolto nell’anniversario delle stimmate di Padre Pio. Una coincidenza, forse.
O, forse, il tocco delicato della carezza di Dio per ricordarci che non siamo soli, che Lui ci sta accanto. Che la sofferenza atroce, ai limiti dell’umana sopportazione, patita da mio fratello, unita a quella di Gesù e di tanti cristiani, possa trasformarsi in salvezza e profonda gioia per tutta l’umanità.
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