Nel carattere di ogni uomo, l’autocoscienza, è fattore fondamentale e delineante, dei propri limiti e delle proprie virtù.
Passando dal singolo alla massa, quanta autocoscienza troviamo nel popolo meridionale?
Mi sono posto tale quesito ed ho lavorato molto su tale osservazione, perché credo che uno dei fattori fondamentali del “ritardo” culturale del Sud, consiste nell’incapacità di guardarsi allo specchio.
Non è un problema animistico, ma una forma di narcisismo di massa, che porta a considerare il proprio modello comportamentale, come infallibile.
In molte aree del Sud, si ha difficoltà a percepirsi in una universalità.
Le culture comportamentali sono assi portanti del “sistema vita” e non assumono i concetti dinamici di un ponte flessibile, pronto ad arcuarsi al mutar del peso.
L’irrigidimento è caratteristica delle regioni meridionali, spesso tramutandosi in una forma di morale patologica, cioè una morale di comodo, parallela ai criteri della logica.
Questa mancanza di elasticità, pone delle barriere ai flussi di novità e relega l’individuo, ad un immobilismo diffidenziale.
Quanto ci rimette il Sud, per tali distonie?
Molto.
Se la conservazione e il conservatorismo, sono stati l’unica arma che si aveva per sopravvivere alle dominazioni straniere, il loro riflesso, dopo secoli, porta ad ergere barriere davanti al progresso.
Per volgere il sistema economico verso forme di produttività costanti, c’è bisogno di erodere il conservatorismo, e per eroderlo vi è necessità di tramutare i comportamenti territoriali, blindati da fierezza identitaria, in sistemi aperti ai flussi di pensiero.
Le sicurezze e le certezze, che hanno accompagnato il Sud per secoli, sono diventati una prigione dorata.
Nient’altro che essa.
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