Il PIL (Prodotto interno lordo) rappresenta il valore complessivo dei beni e dei servizi finali prodotti in un certo intervallo di tempo.
Dunque può essere anche definito come il valore della ricchezza o del benessere di un territorio e della comunità che in quel territorio vive e lavora.
Il riferimento al PIL è interessante perché i sostenitori – imprenditori ed economisti – della liberalizzazione delle attività petrolifere in Abruzzo da tempo contestano al fronte del “NO” la responsabilità di non aver consentito all’Abruzzo stesso di cogliere questa presunta opportunità di crescita economica e di sviluppo del territorio.
Personalmente ho sempre contestato un vizio di fondo nei loro ragionamenti: quello di computare quanto in termini di ricchezza il petrolio avrebbe aggiunto al nostro sistema economico, senza però (s)computare quanto avrebbe tolto, in termini di distruzione di attività economiche preesistenti ed incompatibili con qualsiasi forma di coesistenza con le attività petrolifere.
Ebbene, i dati pubblicati nel rapporto Svimez 2013, relativi alle variazioni del PIL nelle Regioni italiane nel periodo 2001-2012 sembrano rivelare che le previsioni (mie e di tutti i sostenitori del fronte del “NO”) non fossero affatto infondate.
La Basilicata ovvero la Regione che più di ogni altra ha vissuto negli ultimi anni quello che in molti non hanno esitato a definire il “boom dell’oro nero”, è quella che nel periodo corrispondente ha segnato la performance peggiore d’Italia.
L’unica ad aver perduto nell’arco di un solo decennio quasi il 10% della propria ricchezza: il doppio di quello che nel periodo corrispondente ha perso la Calabria ed il triplo di quello che ha perso la Sicilia.
E questo proprio perché in questi anni l’estrazione di quasi 200.000 barili di petrolio al giorno è coincisa con la progressiva inesorabile scomparsa di molte delle attività economiche che prima ne avevano sostenuto lo sviluppo e la crescita.
Non si tratta, quindi, di “demagogia” o di “populismo”, come amano ripetere i sostenitori dell’opzione “petrolifera” per l’Abruzzo.
Si tratta solo di buon senso; ed ora anche di consapevolezza, maturata sulla pelle di chi ha già pagato il prezzo che qualcuno vorrebbe fossero chiamati a pagare anche gli abruzzesi.