PALERMO – Le sale decorate, le donnine incipriate, il bel Tancredi in frac che balla con la smagliante Angelica sulle note di un valzer che attraversa l’aria come il tempo che scorre incessante. Dietro, piatti, posate e cristallerie rifulgono splendidi nella scena del ballo. Forse, una delle più famose della cinematografia. Luchino Visconti e Giuseppe Rotunno, arrivati in Sicilia dopo tanto girovagare, entrati nello splendido Palazzo Gangi non ebbero dubbi: era quello il luogo perfetto per girare il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Oggi però la principessa Carine Vanni Mantegna di Giangi, col cuore ferito, si trova costretta a dire addio a quello sfarzo.
La sua fondazione risale alla metà del XV secolo, ma Palazzo Gangi diventa a tutti gli effetti tale solo tra il 1749 e il 1759 grazie all’intervento dei principi Pietro e Marianna Valguarnera. “La casa del Gattopardo? Ora la vendo”, grida sommessa la principessa tra i vetri di Murano e la memoria di vent’anni di cure che oggi, però, rischiano di passare in altre mani. Una vendita che fa ancor più paura se si pensa che Palazzo Gangi è uno dei pochi luoghi settecenteschi rimasti intatti. Che ne sarà di lui, adesso?
“Nessuno ci ha mai aiutati – racconta la principessa al Corriere – tranne pochi mecenati stranieri. Quando la madre di mio marito è morta io e lui ci siamo seduti sul pavimento dipinto della sala da ballo. Duecentoventi metri di maioliche di Vietri del 1750, che compongono una coppia di Gattopardi antropomorfi, unici nel loro genere. Anche loro erano stati deturpati dagli ospiti dei matrimoni e dei banchetti a cui mia suocera aveva affittato. Ci siamo guardati e abbiamo detto: dobbiamo salvare tutto questo. È stato l’inizio della mia rovina. Del mio ergastolo”.
Tanta, tantissima la rabbia nei confronti dello Stato, ma anche della Regione e del Comune. “Con gli italiani, soprattutto dal Governo Monti in poi – denuncia – è stato…doloroso. Ci hanno tolto gli sgravi sull’IMU. L’IRPEF si porta via tutto dei pochi redditi che nascono qui dentro. Nessuno degli investimenti — e parliamo, negli anni, di milioni di euro, — viene considerato. La nostra proprietà, di cui affitto qualche bottega a ottocento euro al mese, viene trattata alla stregua di un palazzo romano, o veneziano, o fiorentino, dove ogni centimetro rende una montagna di denaro”.
Ma non è tutto. Ad annebbiare la bellezza di quei luoghi, c’è tutt’intorno un ‘villaggio’ fatto di “negozi chiusi, case che si sciolgono senza più tetti nè finestre, viviamo un’emergenza della nettezza urbana che rivaleggia con quella di Napoli. E poi la criminalità. Siamo stati aggrediti fin sulla porta di casa, hanno tentato di portare via la fontana della nostra terrazza di notte, con una gru. A mia cugina hanno rubato la statua colossale di Ercole dal parco della villa di Bagheria, con un elicottero! Incredibile, ma vero”.
La risposta a tutto ciò, seppur triste, appare quasi scontata. “Assolutamente, vendo, anzi, svendiamo”. A dire la sua a riguardo, Luisa La Colla, consigliere comunale del Pd. “Apprendo con tristezza la notizia della vendita di Palazzo Ganci. Un altro simbolo di Palermo – commenta – che decreta così ulteriormente la sua decadenza. Il centro storico va rivalutato e non con becere pedonalizzazioni mal progettate e prive di nesso, ma con politiche assennate che non costringano i negozi storici a chiudere e gli ultimi proprietari di beni monumentali a fuggire”.
E chissà che ne penserebbe l’altissimo principe Fabrizio Salina, con le mani bianchissime tra i suoi capelli biondi e il pensiero rivolto a quella “creatura bramata da sempre” che in qualche modo arriva oggi per quel luogo che, comunque, tutti ricorderanno come il “Palazzo del Gattopardo”.
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