Roberto Battaglia, l’imprenditore casertano che ha denunciato e fatto processare Pasquale, Carmine e Antonio Zagaria, fratelli del boss dei Casalesi Michele Zagaria, riavrà la scorta su tutto il territorio nazionale. Lo ha stabilito il Tar del Lazio che, su ricorso di Battaglia, ha annullato “per carenza assoluta di motivazione” la decisione del Ministero dell’Interno che il 23 gennaio di quest’anno aveva ridotto il dispositivo di tutela di quarto livello cui era sottoposto l’imprenditore zootecnico (la “tutela su auto non protetta“) disponendo che si attuasse solo nel territorio della regione Campania e non più in tutta Italia.
I giudici amministrativi hanno inoltre condannato il Viminale a rimborsare le spese di giudizio, liquidate in 2000 euro. La decisione del Ministero aveva rappresentato una sorta di compromesso tra la posizione della Prefettura di Roma, secondo cui la misura andava revocata per “assenza di segnali di minaccia“, e quella di Caserta, che ne chiedeva la proroga “in ragione dell’attualità e della concretezza degli indicatori di rischio“.
Già nel maggio scorso il Tar aveva sospeso cautelativamente il provvedimento ministeriale ritenendolo “privo di motivazione e per alcuni aspetti contraddittorio“. Con la sentenza, emessa ieri, il collegio ha ribadito tale posizione spiegando di non essere stato posto nelle condizioni “di conoscere le concrete ragioni che hanno portato alla riduzione della protezione“.
Per il Tar laziale permane inoltre il pericolo a carico di Battaglia visto che “il processo penale è ancora in corso (al Tribunale di Napoli) ed è appena entrato nella fase dibattimentale“. La sentenza di primo grado sarà pronunciata ad ottobre.
“Per me era stato un fulmine a ciel sereno. La decisione di togliermi la scorta mi ha creato molte difficoltà e soprattutto non ne ho mai capito le motivazioni. Non è possibile che dopo aver battuto la camorra bisogna iniziare un conflitto anche con lo Stato che dovrebbe tutelarti. Anche per questo molti imprenditori non denunciano i camorristi” commenta Battaglia. Battaglia critica anche le banche, che “nonostante firmino periodicamente, attraverso l’Abi, accordi con le Prefetture impegnandosi ad aiutare gli imprenditori che hanno denunciato le cosche, nel concreto fanno poco o nulla, bloccando l’iter di finanziamento non appena sorge un piccolo ostacolo“.
L’imprenditore attende da tre anni che lo Stato, attraverso il Commissariato antiracket, gli liquidi circa un milione di euro a titolo di risarcimento. “Su tale somma – afferma – lo Stato non presta alcun tipo di garanzia, e questo è già uno dei tanti paradossi che si ritrova ad affrontare un imprenditore taglieggiato; senza garanzia le banche difficilmente prestano soldi, ma la cosa grave è che da un lato si tratta di fondi che vengono comunque corrisposti, seppur in ritardo per colpa della burocrazia, e inoltre gli istituti di credito sottoscrivono impegni precisi nel senso di avvantaggiare gli operatori coraggiosi ma poi li disattendono puntualmente. Si tratta di un circolo vizioso che va interrotto immediatamente. Io non chiedo privilegi, ma di certo non posso essere trattato da Stato e banche come uno diverso dagli altri imprenditori che non hanno mai denunciato, come fossi da evitare“, conclude l’ imprenditore.