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Il custode del campo sportivo era un boss della mafia
24 Set 2014 09:25

Ufficialmente era il custode del campo sportivo di Corleone. Un lavoro rispettabile che nascondeva il ruolo ritagliato per lui dai vertici del mandamento mafioso di Corleone.

Antonino Di Marco, 56 anni, era stato scelto per gestire gli affari illeciti del clan nel comune di Palazzo Adriano, piccolo centro del palermitano in cui da tempo si muovevano i soldi legati ai lavori pubblici. Mediatore per natura e formazione – nei dialoghi intercettati con altri mafiosi ricorda gli insegnamenti di Bernardo Provenzano -, disposto al dialogo, ma anche capace di decisioni dure, Di Marco, finito in manette assieme ad altri 4 presunti esponenti della famiglia di Palazzo Adriano, secondo gli inquirenti, gestiva appalti grazie alle sue buone entrature in Comune, si occupava delle campagne elettorali di deputati regionali, dava direttive per la riscossione del pizzo.

Insomma, comandava. Un ruolo importante il suo, che infastidiva il capomafia di Palazzo Adriano – anche lui tra i fermati – Pietro Paolo Masaracchia. Mesi di intercettazioni – disposte dopo la denuncia di un funzionario comunale di Chiusa Sclafani che aveva subito pressioni proprio per l’aggiudicazione di un appalto – hanno registrato affari e progetti del boss che, pur incensurato, “vanta” una parentela con uno dei fedelissimi di Totò Riina. Vincenzo Di Marco, suo fratello, era l’autista della moglie del padrino di Corleone, Ninetta Bagarella.

“Ricordati una cosa, che devi essere aperto a 360 gradi, con tutti, per poter avere questo tipo di ruolo”, diceva dispensando perle di saggezza Di Marco che, a dispetto delle “regole” mafiose era arrivato a tollerare come futuro genero un sottufficiale dell’Arma.

Il pressing sugli appalti esercitato dai clan era forte. “Emerge un quadro estremamente preoccupante sull’attuale controllo di ‘Cosa Nostra’ sul sistema delle progettazioni e degli appalti che vengono aggiudicati in Palazzo Adriano e nei paesi limitrofi, e sulle connessioni fra progettisti, ditte produttrici di materiali, pubblici funzionari ed esponenti dell’associazione mafiosa”, scrivono i magistrati della dda di Palermo.

Ma Di Marco, che cercava contatti col sindaco di Palazzo Adriano – sulle possibili infiltrazioni mafiose nell’amministrazione la Procura continua a indagare – vantava anche rapporti più “alti”: ad esempio col deputato regionale dell’Udc Nino Dina.

Parlando con Masaracchia, Di Marco dice esplicitamente di aver incontrato Dina vicino alla Regione e che questi gli avrebbe chiesto di aiutarlo ad organizzare la sua campagna elettorale a Palazzo Adriano. Il boss confida poi nel rientro in politica dell’ex governatore Totò Cuffaro, in carcere per favoreggiamento alla mafia.

“Una volta a lui e anche a Totò, dentro la Presidenza, li ho fatti piangere. – si vanta il boss – Io a Nino, quando fu della mangiata là, io gliel’ho detto, ricordati una cosa, capisco i tempi che sono, ma una minima cosa non te la scordare, quando c’è di bisogno, gli ho detto, fatti avanti. Mi ha detto, non ci sono problemi. Gli ho detto, io ti metterò alla prova”.

Del sostegno della mafia a Dina alle ultime regionali è certa la Procura. “Cosa nostra ha indirizzato a lui i suoi consensi”, ha detto in conferenza stampa il procuratore di Palermo Leonardo Agueci. “Si tratta di fatti precedenti alla nuova formulazione del reato di voto di scambio. La vecchia norma prevedeva la contropartita economica che a noi, in questo caso, non risulta”, ha aggiunto il magistrato escludendo che Dina sia indagato. “Notizie distorte. – ribatte il parlamentare – Non sono io il politico di cui parla il procuratore”.


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