A distanza di 14 anni dall’uccisione di un giovane di 22 anni, Orazio Sotti, che all’epoca era stato archiviato come “ad opera di ignoti”, la squadra di polizia giudiziaria del commissariato di Gela ha riaperto le indagini su richiesta del padre della vittima e, imboccata la pista del movente passionale, è riuscita a identificare e arrestare i presunti autori.
L’inchiesta, denominata “Cold Case“, ha portato in cella due fratelli di Niscemi, Salvatore e Giuseppe Cilio, di 38 e 36 anni, entrambi pregiudicati, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale di Gela, Veronica Vaccaro, su richiesta del procuratore, Lucia Lotti e del pm Serafina Cannatà.
Orazio Sotti, detto Salvatore, considerato in paese un “dongiovanni”, avrebbe sedotto le ex fidanzate dei Cilio, suoi compaesani, sulle quali i due fratelli ritenevano invece di poter vantare una sorta di arcaico diritto feudale di proprietà.
Quelle relazioni, seppure appena accennate, avrebbero provocato la reazione di Salvatore Cilio, che si trovava in carcere per altri reati, tanto da indurlo a concordare con il fratello Giuseppe l’uccisione di Sotti perché quel “fimminaru” li avrebbe disonorati.
Secondo la ricostruzione della polizia, Giuseppe Cilio (non si sa bene se da solo o con un altro complice) avrebbe raggiunto Orazio Sotti, a Gela, nel garage della sua abitazione di via Nomentana, nel quartiere Fondo Iozza, poco dopo la mezzanotte dell’antivigilia di Natale del 2000, e gli avrebbe sparato sette colpi di una pistola semiautomatica Beretta, uccidendolo all’istante.
Il caso finì in archivio nel 2011. In questi mesi, la riapertura del caso e la svolta nelle indagini dirette dal commissario Francesco Marino.
ll delitto d’onore scoperto a Gela dopo 14 anni richiama un retaggio culturale ormai superato nel costume e nella legge.
Particolari attenuanti erano previste dall’art. 587 del codice penale che dava un riconoscimento “morale” agli autori di delitti innescati dallo “stato d’ira” scatenato dalla scoperta di “relazioni illegittime”.
Negli anni Sessanta in Sicilia cominciò una riflessione civile, che influenzò il cinema e la letteratura, dopo un delitto d’onore che nel 1964 ebbe una larga risonanza mediatica. Protagonista un maestro elementare di Piazza Armerina (Enna), Gaetano Furnari, il quale fece irruzione in un’aula dell’Università di Catania e uccise il professore Francesco Speranza.
Aveva scoperto che il docente aveva sedotto sua figlia studentessa del Magistero. In primo grado Furnari fu condannato, grazie alle attenuanti previste dal codice, a due anni e 11 mesi (in appello la pena fu elevata a 4 anni e mezzo).
Il pubblico applaudì la sentenza. Il caso ispirò il film di Elio Petri “Divorzio all’italiana” con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli.
Nel clima di indignazione di quel tempo intervenne anche Leonardo Sciascia per esprimere un giudizio critico “sull’assurdità e stupidità del delitto d’onore e sulla inciviltà dell’articolo di legge che lo contempla”.
Quella norma venne abolita solo nel 1981 assieme a quella sul “matrimonio riparatore” che cancellava la colpa di chi stuprava una donna e poi la sposava.
Anche l’abolizione di quell’articolo del codice penale prese spunto da un altro clamoroso caso siciliano: il rifiuto di Franca Viola di sposare l’uomo che l’aveva rapita.
Il delitto Furnari e il no di Franca Viola contribuirono a cambiare la cultura, la legge e il costume non solo in Sicilia.