Sono trascorsi 21 anni dalla strage di via D’Amelio e siamo ancora a chiedere verità ad uno Stato sordo e silente.
Quella domenica ero sotto l’ombrellone nella spiaggia romagnola e sentii una signora dire: “A Palermo c’è stata una strage: hanno ucciso un Giudice”.
La mia mente fu proiettata verso Paolo Borsellino, avevamo trascorso l’ultimo venerdì insieme. Mi rattristai, mi sentii un vuoto dentro, fu come un pugno micidiale nello stomaco, tant’è che non sentii nemmeno il telefonino squillare.
Lessi il numero, era il mio ufficio di Roma: la DIA. Presi il telefono in mano ma non ebbi il coraggio di chiamare, non volevo conferme. Le parole di quella anonima signora mi avevano raggelato il sangue.
Come si fa a dimenticare, come si può far finta che quella domenica di luglio non successe nulla: quella domenica dove mafiosi e sciacalli, insieme commisero la strage che cambiò l’Italia.
Semmai ce ne fosse ancora bisogno, ribadisco che gli sciacalli, sono quei personaggi dello Stato che in combutta con Cosa nostra, affondarono le loro mani nel sangue di Paolo Borsellino e dei mie colleghi per rapinare nel modo ignobile la verità agli Italiani, rubando l‘Agenda rossa di Paolo Borsellino.
In quella Agenda Paolo Borsellino, il venerdì 17 luglio 1992 lesse i suoi appunti. Il signor Totò Riina fa capire che l’Agenda Rossa fu rubata dai “Servizi” e allora lo invito a essere più eloquente, anche se in cuor mio non nutro nessun dubbio, ossia che a rubarla siano stati uomini appartenenti alle Istituzioni.
Ancora oggi qualcuno è prodigo di consigli: m’invita a dimenticare e soprattutto a tacere. No!
Non avrò pace e lotterò sino all’ultimo mio respiro, sino a quando i politici che occupano le stanze potere non mi dicano quali furono i motivi che diedero luogo alla strage di via D’Amelio, da me sempre etichettata come anomala rispetto al modus operandi di Riina e company.
Ed è umiliante oltre che vergognoso che uno Stato democratico come il nostro, non sia in grado, dolosamente o per incompetenza, scrivere la verità su via D’Amelio. Io propendo per il “dolosamente” visto l’accanimento di una parte politica verso le Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta.
E fa ancor più male constatare che la ricerca della verità non è stata prioritaria nell’agenda dei vari Governi che si sono succeduti. Ma possiamo star certi che il prossimo 19 luglio in tanti “caleranno” a Palermo per dimostrare in modo farsesco il loro dispiacere: lo Stato sarà presente solo per posare una corona e per esibire la mesta partecipazione ad uso e consumo dei giornalisti.
Egregi politici, il 19 luglio non dovrebbe appartenervi, almeno sino a quando non sarete in grado di dimostrare coi fatti e non con pupiate sterili, che verità sia fatta. Il 19 luglio mi appartiene, è parte integrante della mia vita: qualcuno strappò dal mio cuore un rapporto onesto e di stima con un altro uomo.
Gli strinsi le mani, i miei occhi videro il suo dolore per la morte del suo amico Giovanni Falcone. Le nostre menti, seppure violentate dalla strage di Capaci, erano intenti a scoprirne gli autori.
Eppure io e Paolo Borsellino non eravamo amici. Eravamo solo due uomini che credevano nella Giustizia; credevano che un mondo senza mafia era possibile. Ma non avevamo tenuto in debita considerazione il camaleontismo di taluni politici; politici senza scrupoli, che dai rapporti con i mafiosi hanno tratto il potere.
Signori politici per favore state lontano da via d’Amelio, quel sito non vi appartiene è degli italiani onesti.
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