In un Paese dove il livello di attenzione e di curiosità verso la novità non commerciale é ai minimi storici, la vita dell’artista indipendente è ridotta ai minimi termini.
“Ignorati, sottopagati e snobbati”: questa è la vita dell’artista indipendente ed i fattori sono molteplici.
Dalla mancata democratizzazione della musica attraverso il web (leggi anche: Il web e la rivoluzione nel mondo della musica) e l’avvento dei digital store che favoriscono artisti di fama nazionale ed internazionale, l’artista indipendente si ritrova a dover rincorrere.
Deve rincorrere la gente, i locali e i live club dove si fa musica o si tenta di farla e uno spazio per diffondere la propria musica.
E non finisce qui perché l’artista indipendente, quello che compone e prova le sue canzoni nei garage, scrive canzoni di notte perché di giorno deve lavorare per sostenere se stesso e la sua famiglia, deve anche trovare risorse economiche per pubblicare una canzone o un album.
Potremmo definire il tutto come “la solitudine dell’artista indipendente”.
Partiamo con la produzione di un singolo o di un album. Ciò comporta pagare, di tasca propria, uno studio di registrazione e qui arriva la prima difficoltà se non si ha uno “zoccolo duro” di persone che segue l’artista indipendente sconosciuto alla maggior parte e che, attraverso il crowdfunding supporta economicamente questo sognatore.
Successivamente si arriva alla distribuzione sulle piattaforme digitale come Spotify, ITunes & co.
La distribuzione sulle piattaforme è preferita dai più per velocità e per non stampare un cd fisico che non troverebbe spazio in quei pochi negozi di musica, fisici, che ormai sono all’estinzione, surclassati da GDO che lasciano morire la musica sugli scaffali, come detto dallo stesso Caparezza nella sua “Prisoner 709”, in cui solo uno stolto non capirebbe la situazione della musica in Italia.
Una volta distribuito sui Digital store, l’artista indipendente farà i conti con quei pochi centesimi per centinaia di ascolti che i DSP inviano agli aventi diritto.
E qui già riceve la prima delusione.
Passiamo poi alla musica dal vivo, che avrebbe dovuto essere l’ancora di salvezza per l’artista indipendente, e invece sempre più sfruttata e non valorizzata da alcuni live club e locali che portano artisti e band nelle proprie realtà.
Qui l’artista, nel caso riesca ad essere preso in considerazione da un autoeletto direttore artistico di un locale, raggiunge quasi un traguardo prima della mazzata che spezza ulteriormente le gambe a chi vorrebbe fare musica.
Molte volte ci si trova davanti a un ipotetico direttore artistico, nonché proprietario del locale, che con l’artista gioca al ribasso sul cachet. E così quest’ultimo sognatore, che attraverso musica e parole vuole far ascoltare qualcosa di nuovo, si ritrova a dover presentare la sua musica con pochi spiccioli.
È anche vero che molte realtà che vogliono presentare attraverso rassegne di musica dal vivo le nuove realtà, di quelle che una volta rappresentavano l’underground e che adesso vengono etichettate come indie, si ritrovano a fare i conti con poche risorse economiche, le proprie, perché lo Stato destina. come sempre a teatri, musei e cinema.
Ma le difficoltà, per il sognatore indipendente non finiscono qui.
Infatti, la fortuna di suonare in presenza di un pubblico non è sempre vantaggioso: si rischia di essere contorno a clienti del locale che hanno la testa nel piatto, sul cellulare o da tutt’altra parte. Quindi rischiano di essere snobbati.
Possiamo dire che l’artista indipendente è quel sognatore ignorato, sottopagato e snobbato ma che ha ancora il sogno di cambiare il mondo attraverso la musica, musica che ha reso importante il nostro Paese nel mondo e che ormai è vista come un prodotto, così come tutta la cultura in genere.
Così, l’artista indipendente, continua a sognare un pubblico attento alle sue canzoni, mentre in un Paese dove il musicista non è ancora un mestiere, è ostaggio di una scrivania di un ufficio o in fabbrica o mentre lavora per la GDO o mentre, paradossalmente, insegna alle nuove generazioni musica.
È pur vero che l’artista indipende deve svestire ogni giorno i panni del sognatore per tornare ad una realtà cinica, superficiale, con una vita che sembra una competizione ma senza quel sognatore che continua a fare musica nel proprio garage e che di notte compone canzoni e cerca locali dove poter raccontare la propria visione del mondo attraverso la musica, questo nostro Paese sarebbe destinato ad ascoltare prodotti camuffati da musica che rappresentano il 5% di quel mondo che anche le istituzioni snobbano, che la gente ignora e che i digital store e non solo sottopagano.
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