Ancora non si parlava di Isis ma nelle intenzioni e nelle conversazioni dei presunti terroristi che vivevano ad Andria, in Puglia, e che oggi sono in carcere con condanne di primo grado per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale di matrice islamista, c’erano l‘eliminazione delle eresie e la difesa del più puro precetto islamico, con la restaurazione del Califfato sotto la leadership di Al Qaeda.
I fatti contestati dalla magistratura barese si riferiscono agli anni 2008-2010. Sei persone, sotto la guida dell’Imam tunisino della moschea di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassem, alias ”Abu Haronne” di 47 anni, studiavano in rete – secondo l’accusa – le tecniche per costruire ordigni ed esplosivi, si addestravano sull’Etna, in Sicilia, ridevano delle chiese distrutte in Abruzzo dal terremoto, parlavano di odio, di sacrificio, di morte.
Agli atti del processo barese ci sono materiale fotografico e video, documenti, intercettazioni telefoniche, e poi le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, terroristi pentiti che hanno imparato a vivere un Islam di pace e non di guerra.
‘‘Il culto della morte è l’elemento determinante che motiva il terrorismo Jihadista” spiegava agli inquirenti baresi Jelassi Rihad, sentito nel novembre 2009 durante le indagini su questa presunta cellula terroristica con base logistica ad Andria, nel call center gestito dal capo dell’organizzazione. E proprio all’interno del call center andriese si cercavano sul web e visionavano i video pubblicati nei forum jihadisti, per imparare a fabbricare bombe, usare armi da fuoco e per il reclutamento di volontari mujaheddin da avviare ai campi di battaglia in Afghanistan, Yemen, Iraq, e Cecenia.
Cinque di loro furono arrestati dai Carabinieri del Ros nell’aprile 2013 e, processati con rito abbreviato, sono stati condannati dal gup del Tribunale di Bari Antonio Diella. Il sesto imputato, il 35enne marocchino Azam Nabil, alias ”Abu Alì, latitante, è stato rinviato a giudizio e sarà processato dalla Corte di Assise di Bari a partire dal 14 aprile 2015. La condanna più alta, a 5 anni e 2 mesi, è stata inflitta nei confronti del presunto capo, Hosni Hachemi. Condanne a 3 anni e 4 mesi di reclusione per i presunti componenti dell’associazione, coloro cioè che, secondo l’accusa, ”cooperavano nell’attività di proselitismo, di finanziamento, di procacciamento di documenti falsi, tenevano i contatti con altri membri dell’organizzazione, disponibili al trasferimento in zone di guerra per compiervi attività di terrorismo”. Si tratta di Faez Elkhaldey, detto ”Mohsen”, palestinese di 50 anni, Ifauoi Nour, detto ”Moungi”, tunisino di 35 anni, Khairredine Romdhane Ben Chedli, tunisino di 33 anni, Chamari Hamdi, 24enne nato in Sicilia. Dalle indagini sono emersi anche i rapporti dell’Imam con personaggi di rilievo del terrorismo internazionale di matrice confessionale quali Essid Sami Ben Khemais, Ben Yahia Mouldi Ber Rachid e Ben Alì Mohamed, già condannati in via definitiva per reati di terrorismo.
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