Dopo più di trent’anni le celle del manicomio si riaprono per riportare alla luce ferite, tracce di memoria e brandelli di una realtà dimenticata. Per tre mesi il fotografo Bebo Cammarata ha puntato l’obiettivo sui muri delle celle in cui un’umanità dolente ha raccontato con il linguaggio scarno dei graffiti i propri drammi esistenziali, cercando di cogliere tracce e segni di vita che potessero raccontare al di là del visibile. Ora quelle testimonianze di vite consumate tra camicie di forza, elettrochoc e letti in ferro si ricompongono in una mostra, dal titolo “Graffiti della mente – Brandelli di memoria sul muro del manicomio di Palermo” inaugurata l’8 marzo e che sarà ospitata per dieci giorni dalla galleria “Artetika” di Palermo.
Il viaggio di Cammarata tra le sale e le segrete stanze della “Real casa dei matti” voluta dal barone Pietro Pisani, un padre illuminato della psichiatria italiana, rivisita la voglia di libertà che si esprime con l’arte spontanea dei malati. La mostra “I graffiti della mente” propone anche le immagini di volti scavati e induriti conservate nelle cartelle cliniche ritrovate in un archivio ormai quasi disperso. Niente stanzoni angoscianti, celle di sicurezza e inferriate fitte, ma il fotografo è soprattutto reporter, educato a portare al fruitore un racconto. Le immagini svelano sorprese inimmaginabili e appaiono quindi segni quasi cancellati nei muri degli edifici, la voglia di libertà che si esprime con l’arte spontanea dei malati. Le cartelle cliniche che con fredda burocrazia inchiodano donne incolpevoli a un destino che non gli appartiene.
Queste sono le immagini che il fotografo ci racconta con una sua particolare ma rispettosa interpretazione. In mostra, due serie di graffiti, la prima dedicata ai segni tracciati sui muri perimetrali interni che risalgono agli anni Cinquanta, sbiaditi e quasi invisibili, “mentre la seconda serie – racconta Cammarata- ne raccoglie altri che chiamo ‘contaminazioni’ perché realizzati raschiando i muri, dopo la chiusura del manicomio, da altri utenti con patologie sempre legate alla mente. Questi graffiti si trovano all’interno dei giardini dei padiglioni, e alcuni recano anche tracce di colore. Nel video foto-film, di 8 minuti, invece racconto l’atmosfera di questo luogo” .
Dopo l’intervento della legge voluta da Franco Basaglia nel 1978 gli ospedali psichiatrici cambiano parzialmente volto, ma fondamentalmente rimangono luoghi di dolore e disagio, dove a volte capita che i pazienti affidino alla creatività di un segno la loro ricerca di libertà: non fa eccezione il manicomio di Palermo, chiuso da oltre un trentennio.
Gli attori Stefania Blandeburgo e Leonardo Mancini durante l’inaugurazione hanno letto alcune poesie di Maria Fuxa, degente del manicomio, che ha avuto riconoscimenti internazionali per le sue liriche; l’ideazione è di Gigliola Beniamino Magistrelli. Sono esposti anche alcuni “schizzi di memoria” di Gianna, ovvero Giannandrea Dagnino, artista outsider.
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