Il problema dell’ILVA non è l’acciaio ma il carbone che viene utilizzato per produrlo.
Si dice che il carbone costi poco, ed è vero, per la semplice ragione che chi lo utilizza non paga i costi sanitari e ambientali che l’utilizzo del carbone determina sia sull’habitat sia sulla salute delle persone.
E allora la Regione Puglia sin da dicembre dell’anno scorso ha proposto al presidente del Consiglio, che è l’arbitro unico di questa partita dell’Ilva, di utilizzare un sistema diverso che consenta di produrre acciaio senza determinare emissioni nocive e dimezzando le emissioni di Co2.
Un sistema più costoso di quello che prevede l’uso del carbone, attraverso il gas. E dunque abbiamo pensato di utilizzare per alimentare l’Ilva il gas del gasdotto Tap, al quale noi siamo favorevoli a condizione che si sposti l’approdo più a nord.
Se il consorzio Tap, come compensazione ambientale per l’utilizzo del nostro territorio ai fini del loro business, ci mettesse a disposizione il gas ad un prezzo compatibile con quello del carbone, supereremmo questo differenziale di costo.
La conversione a gas consentirebbe anche al futuro acquirente di Ilva di utilizzare una fabbrica in perfetta legalità, coerente con la Costituzione e con il trattato Cop21 di Parigi, e soprattutto priva di rischi per il futuro.
Adesso siamo a lavoro a Roma con l’Associazione Europea per le Agenzie delle Democrazie Locali (ALDA) presso il Consiglio d’Europa in Strasburgo, con il Consiglio Nazionale degli Ingegneri e con i massimi esperti internazionali di decarbonizzazione per approfondire il progetto della Regione Puglia. Andiamo avanti.
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