Entrò in convento dopo aver trascorso molti anni nell’arma dei carabinieri.
Volle chiamarsi fra Leone, come l’amico di Francesco.
Riprese a studiare con fatica. Puntuale, arrivava in facoltà teologica a pieni scalzi, avvolto nel saio grigio di tessuto grezzo e la corona del rosario tra le mani. Lo sguardo sereno, il volto buono, il sorriso sulle labbra. A vederlo era un incanto.
Faceva mille sforzi per stare al passo con i giovani colleghi. Il desiderio di diventare sacerdote lo consumava. Nell’intervallo delle lezioni, con passo svelto, si recava in cappella, si rannicchiava in un angolo e sprofondava nella preghiera.
Il professore Orlando, prete della chiesa di Napoli, in quella facoltà, da sempre, insegnava filosofia teoretica. San Tommaso d’ Aquino, i suoi scritti, la sua intelligenza, la sua cultura, il suo argomentare lo facevano impazzire. Ne era innamorato. Gli brillavano gli occhi durante le lezioni. Le dispute filosofiche erano suo pane quotidiano. Severo e burbero come i vecchi maestri di una volta, Orlando, era temuto da tutti gli studenti dei primi anni. Solamente pochi fortunati superavano l’ esame con lui al primo colpo. Anche per fra Leone arrivò il temuto giorno. All’umile frate la filosofia proprio non gli entrava in testa.
La studiava come ingoiando una medicina di cui non si può assolutamente fare a meno. La notte prima della fatidica ora, fra Leone la passò davanti al Santissimo Sacramento. Un po’ studiava, un po’ pregava, un po’ si appisolava sul libro scritto dallo stesso professore. Di quel libro l’autore, con malcelato orgoglio, amava ripetere: « I maligni dicono: tosto il professore, tosta la materia, tosto il libro. Naturalmente non è vero…». Naturalmente era vero.
Quel libro era proprio una mazzata in testa per chi non amava la filosofia. Fra Leone lo aveva letto, riletto e sottolineato, ma ci aveva capito poco. Lui preferiva riposare davanti al Tabernacolo, piuttosto che rompersi la testa con le tesi di san Tommaso.
Inutile dire che per il professore Orlando, che pure il rosario recitava ogni mattina, queste dicotomie erano considerate un sacrilegio. Arrivò il momento tanto atteso. Fra Leone, alto e magro come un cipresso toscano, fasciato nel suo mantello, rabbrividendo per la paura e per il freddo entrò nell’aula come un condannato a morte. Il professore, alto, rosso, grosso, era diventato una cosa sola con la talare che indossava, di colore nero.
Eccoli, fronteggiarsi, questi due uomini innamorati dello stesso Dio eppure così diversi. Il tomista notò il sudore freddo che colava dalla fronte del francescano. Attimi di passione pura per lo studente. I frati, in convento, pregavano perché Leone superasse quello scoglio. Orlando stava per sferrare il primo colpo quando, inaspettatamente, esprimendosi nella nostra gustosissima lingua partenopea, esclamò: «Munaciè, tu tiene a faccia e uno che a filosofia nunn a sape…». Traduco: « Fraticello hai la faccia di uno che la filosofia non la conosce …». Ci aveva azzeccato in pieno l’ indovino.
Fra Leone, tremante, abbassò la testa e prese a farfugliare: « E’ vero, monsignore. Io la filosofia non la conosco. Ho studiato tanto, ma ci ho capito poco. Ringrazio Dio, però, che nella Chiesa ci siano uomini intelligenti e preparati come lei che la filosofia la sanno tanto bene…». Il burbero rimase colpito e rivolto all’ assistente: « L’esame è finito. Dagli un voto basso e fai entrare il prossimo. Il fraticello pregherà per noi…». Fra Leone aveva superato l’esame con Orlando! Cosa da non credere. Quel frate oggi è un sacerdote amato e ricercato per i suoi consigli, la sua bontà, la sua sapienza.
Un uomo generoso e buono che si fa tutto a tutti pur senza sapere di filosofia. Possiamo dirlo? Un santo. Orlando, il vecchio professore, è morto qualche anno fa. Il frate e il monsignore. Due uomini. Due cristiani. Due sacerdoti. Così simili. Così diversi. Un solo Dio. Un solo Signore. Una sola fede.
Tanti carismi a servizio di Gesù e dell’uomo. Come è giovane e bella la nostra santa madre Chiesa due volte millenaria, dove, per strade diverse, tutti possono accedere alla medesima corona di gloria.
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