Con una serie di interviste, come quelle con cui accusò la Consulta di aver preso una decisione politica e “mortificato” le ragioni del diritto, accogliendo il conflitto di attribuzioni del capo dello Stato contro la procura di Palermo, Antonio Ingroia, ex pm del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, ha tenuto condotte di “oggettiva ed estrema gravità”. Ma poichè si tratta di “comportamenti estranei all’esercizio delle funzioni giurisdizionali“, non possono essere presi in considerazione per valutare la sua indipendenza, il suo equilibrio e la sua imparzialità.
Così, con una decisione destinata probabilmente a far discutere, la Quarta Commissione del Csm propone al plenum di promuovere il leader di Azione civile, riconoscendogli, per il quadriennio tra il 2007 e il 2011, quando era ancora in magistratura, il conseguimento della sesta valutazione di professionalità. Un riconoscimento che per Ingroia – che nel 2013 ha lascito la toga – comporterà benefici sul piano della pensione e del Tfr.
Oggi è previsto il voto finale del plenum ed è probabile che ci sarà battaglia. In Commissione la delibera è passata infatti con tre sì (dei togati di Unicost Mariano Sciacca e Riccardo Fuzio, e di Area Francesco Vigorito), il no dell’indipendente Nello Nappi, e l’ astensione del laico di centro-destra Filiberto Palumbo. La maggioranza fonda la sua proposta sul parere favorevole alla promozione dell’ex magistrato del consiglio giudiziario di Palermo, in cui si parla di “eccellente” preparazione tecnico-giuridica e di “elevatissime” capacità di organizzazione del lavoro. Ma passa comunque al setaccio le diverse esternazioni costate a Ingroia due procedimenti disciplinari, archiviati nel 2013 in seguito alla sua uscita dalla magistratura: tra le altre quelle con cui accusò la quinta sezione della Cassazione – che aveva annullato la condanna di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa – di contribuire a demolire la cultura della prova di Falcone e Borsellino; e le interviste con cui di fatto continuò a far politica, pur non essendogli più permesso, visto che era finita l’aspettativa per ragioni elettorali.
Sul punto il giudizio dei consiglieri è pesante: le interviste di Ingroia non solo si sono “concretizzate in un evidente impegno politico“, ma hanno anche rivelato un “contegno a volte gravemente irrispettoso verso le istituzioni e lo stesso ordine giudiziario“, al punto da “aver determinato un pregiudizio al prestigio dell’ordine giudiziario“. Nonostante ciò però, trattandosi di “comportamenti estranei all’esercizio delle funzioni giurisdizionali, non assumono rilievo ai fini della valutazione” su indipendenza, equilibrio e imparzialità. Tutto questo in forza di una circolare dello stesso Csm, che “preclude” di prendere in considerazione condotte “extrafunzionali“. Le interviste in questione non possono essere tenute in conto anche perché – sottolinea la Commissione – sono successive al quadriennio preso in considerazione per la valutazione di professionalità di Ingroia; periodo durante il quale l’ex pm “ha tenuto un comportamento irreprensibile, svolgendo le funzioni giurisdizionali in maniera equilibrata e credibile“.
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