L’orgoglio di Lampedusa è scritto in una canzone dedicata al Santuario della Madonna di Porto Salvo, il luogo al centro dell’isola dove nell’antichità cristiani e musulmani pregavano insieme davanti ad una lampada ad olio sempre accesa e alimentata dai pellegrini di ogni religione: “E da lu mari la genti vinia e pi lu mari la genti s’innia”. Lo sa bene, Lampedusa, che dal mare la gente arriva e che per mare la gente se ne va.
E muore, anche: dal 1994 ad oggi, stando ai dati di Fortress Europe, ben oltre seimila persone sono finite nel fondo del canale di Sicilia. Uomini, donne e bambini con la sola colpa di aver voluto cercare una speranza. Non c’è isolano che non conosca una storia di morte; non c’è isolano che non conosca il significato più intimo dello sguardo dei migranti che sbarcano: la paura più profonda; la gioia per avercela fatta. Ecco perché, dice il sindaco Giusi Nicolini a nome dei suoi concittadini, “l’arrivo di papa Francesco squarcerà il silenzio che ha coperto le morti di migliaia di migranti e la grande ingiustizia che si consuma a Lampedusa”. Ecco perché, conferma il parroco don Stefano Nastasi, “non si è fatto nulla per aiutare Lampedusa e i lampedusani ad essere riabilitati, speriamo che la visita sia un segnale nuovo e non solo per Lampedusa”.
Ecco perché gli striscioni per le strade definiscono Francesco “uno di noi” e le scritte sulle vele delle barche gli danno il benvenuto “nelle isole dell’accoglienza e dei senza diritti”. “Oggi siete tutti qua – dicono i pescatori al porto – domani ve ne andrete tutti. Ora ci sono i turisti, poi andranno via anche loro. Gli unici che ci sono sempre, siamo noi e i migranti. Disperati loro e disperati noi”. Hanno ragione, il sindaco, il parroco e i pescatori. Perché Lampedusa per troppo tempo è stata lasciata sola ad affrontare un problema troppo grande per lei. E dunque spera che dove ha fallito lo Stato – tutto il mondo ricorda le immagini di quel fine inverno inizio primavera del 2011, quando migliaia di migranti furono abbandonati, senza scarpe e senza vestiti, per giorni, sul molo dell’isola – riesca questo Papa arrivato dalla fine del mondo.
Tutto ormai è pronto per accogliere il Pontefice, nei negozi la faccia sorridente di Francesco campeggia su magliette, borse, portachiavi. Isolani e turisti ronzano attorno all’area dove si svolgerà la messa, in attesa che si compia l’evento. Prima di celebrare però, il Papa farà due gesti dall’enorme valore simbolico: il primo è un giro a bordo di una motovedetta delle Capitanerie di Porto che consentirà a Francesco, scortato da 120 pescherecci, di lanciare una corona di fiori in mare davanti alla porta d’Europa – il punto dell’isola dove naufragò un barcone e persero la vita tre migranti – in ricordo di tutte le vite ingoiate dal Mediterraneo; il secondo lo sbarco sul molo Favarolo, lo stesso dove i disperati che ce l’hanno fatta toccano terra per la prima volta. Ed è su quel molo che incontrerà cinquanta di loro, uomini donne e minori scelti tra i 112 rimasti ancora sull’isola. “Saranno tutti rappresentati, anche i musulmani – dice don Stefano – . E tutti hanno detto che volevano esserci, nessuno è stato costretto”.
La messa sarà invece celebrata al campo sportivo e anche qui i simboli abbondano. L’area, la stessa dove furono sistemati in una delle tante notti d’emergenza un migliaio di tunisini, è infatti adiacente ad un altro di quei luoghi che sono la storia di Lampedusa, il cimitero dei barconi, un ammasso di legno fradicio e colori sgargianti, scritte arabe e pezzi di vestiti. E non è affatto un caso che sia stato preso proprio da lì il legno per costruire l’altare, il pastorale, il calice.
Anche il leggio è composto da una ruota e due timoni presi da quelle barche. “Questa visita, la sua prima visita – dice con orgoglio il sindaco Nicolini, è il riconoscimento più grande. Sono convinta che niente come questo gesto aiuterà l’isola ad essere meno sola e ad essere più vicina all’Europa”. Nel santuario della Madonna di Porto Salvo, l’olio nella lampada brucia ancora. “Matri Maria sentimi un pocu fa di stu portu un portu e consulu, fa di stu scielu un tettu d’amuri, fa di stu scogghiu un lettu e riposu”.