Tremate tremate, i riformatori della scuola sono tornati.
Fra i più terrificanti effetti collaterali di ogni nuovo governo, è che vuole fare appunto una sua riforma della scuola. Tutto normale se non fossimo in Italia. Perché siccome da noi i governi cambiano più delle capigliature del calciatore Pogba, non si fa in tempo a capire qualcosa dell’ultima che già diventa la penultima. Il più grande spettacolo del mondo sarebbe mettere una telecamera segreta nella camera di una preside: ovviamente visione e ascolto vietati ai minori. Più che lezioni e voti, la scuola è diventata carte e commi. Più che spiegazioni, rompicapi. Più che preparazione al futuro, rimpianto di non aver scelto un altro mestiere in passato. Più che cin cin, studenti in piazza.
ENNESIMA RIFORMA- Chi ha voluto sfidare il comune senso dell’impudore avrà letto le anticipazioni sul progetto della ministra Giannini. Soprattutto roba di assunzioni, di precari in ruolo, di compensi, di riconoscimento del merito, di eventuali (molto eventuali) sanzioni al demerito. Oltre a qualche materia in più qui, qualche ora in meno lì. Tutto legittimo, per carità. Soprattutto l’impegno (l’impegno) a riconoscere finalmente quel grande ruolo sociale degli insegnanti tanto disatteso quanto ogni volta ribadito.
Ora, nessuno dovrebbe fare scuola alla scuola. Perché la scuola ne sa molto più dei ministeri su cosa significa fare scuola. Non solo insegnare che non si dice “ho stato” e che il congiuntivo non è un pregiudizio borghese. Non solo far sapere che Napoleone non è una marca di profumo. Non solo smentire che Atene sia la capitale della Turchia. Non solo spiegare perché da noi non sempre due più due fa quattro. Non solo evitare che scambino la calotta cranica con la calotta antartica. Non solo far comprendere che il latino è più che la vecchia lingua delle messe. Fare scuola significa bocciare chi crede che la scoperta dell’America ci sia stata nel 1789 e la Rivoluzione francese nel 1492. E chi è convinto che l’Illuminismo è un nuovo tipo di lampadina. Ma fare scuola significa anche qualcosa di Altro e Alto.
Quando l’Italia uscì a pezzi dalla guerra, capì magari senza neanche pensarci che per ricomporre i pezzi non si doveva affidare a un esperto di Lego ma una sua idea di futuro. Che era tanto diventare un grande Paese industriale, quanto contare sulla straordinaria inventiva manuale della sua gente, quanto puntare sul suo fascino culturale nel mondo, quanto affermarsi come una esposizione universale della dolce vita, quanto far diventare il sole-mare e la buona cucina il sogno di tutti. Fummo la Vespa, Sofia Loren e la Pizza. Tutto questo nacque allora anche grazie all’istruzione di massa. Diventammo il Belpaese, anzi fummo tanto più Belpaese quanto l’istruzione diventò di massa. Nacque insomma allora un italiano-tipo che progettò così la funzione sua e quella della terra che abitava. Che si dette una sua etica, una sua estetica, una sua dietetica.
UN DOMANI CERCASI – Oggi, modestia a parte, abbiamo la corruzione fra le più alte d’Europa, l’evasione fiscale altrettanto, il più basso livello di lettura d’Europa ma il più alto numero di cellulari, il più basso numero di laureati e di diplomati, siamo tanto più incivili quanti più sono i motorini, imbrattiamo monumenti per i quali chiunque nel pianeta farebbe follie, abbiamo politici che nessuno si sognerebbe di esporre neanche in un museo degli orrori ma anche una cosiddetta classe dirigente più brava a conservare i suoi privilegi che a mostrare un po’ di classe. Abbiamo anche un inossidabile buon nome di creatività e di fascino sempre messo a dura prova da come ci raccontiamo e ci mostriamo.
Di fronte a questo siparietto, dobbiamo decidere quali valori (scusate il termine) consegnare agli italiani di domani, cioè ai nostri ragazzi. Quale modernità. Il senso del dovere o il Nobel della furbizia? Il senso del bene collettivo o il menefreghismo del penso solo a me? Il senso di un comune tragitto o la frattura fra i territori, le generazioni, le categorie? Il peggio scambiato per meglio o un’idea alta e forte di noi stessi? Non dovremmo chiedere alla scuola più di quello che la scuola, nonostante tutto, ci dà. Ma ogni storia e ogni Storia nascono a scuola molto più di quanto crediamo. Forse ogni riforma della scuola che non sia la solita riforma dovrebbe cominciare da queste domandine più che dalla lavagna elettronica.
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