La morte di Antonio, del mio amico Antonio, è la morte di una parte di me.
Ieri mattina, come sempre, mi raccontava delle sue ultime letture sull’India.
Antonio conosceva l’India, le sue tradizioni, i suoi modi di vivere come nessun altro.
Era un periodo che mi ripeteva di essere nella terza fase della sua vita, quella del bosco, nel quale ci si ritira per ritrovare sé stessi e le energie nuove per andare avanti.
La sua energia principale era Kavita, la dolcissima ragazza indiana che insieme a Livia avevano adottato.
Ieri mattina gli avevo chiesto di vederci, ma mi ha ripetuto che aveva bisogno di solitudine, intima e profonda e di stare accanto a Livia, la sua compagna di vita.
Il mio computer è pieno di idee e di progetti che Antonio mi scriveva continuamente.
Ma anche di ricette e di aneddoti.
Antonio, dicevo a tutti, era il più intelligente, l’unico capace di sorprendermi sempre. Quante storie abbiamo condiviso, quante attese, speranze, delusioni.
In lui c’era sempre una forza, credo fatta di sapienza antica e di molti libri letti.
Una volta che venne a trovarci a Lecce, mia madre raccontava di averlo visto levitare, leggero come le cose celesti.
Che il bosco ora ti consenta quella meditazione intima e profonda che cercavi.
A me mancherà tutto di te: il tuo saperti amico sincero, la tua ironia, i tuoi racconti “Indo napoletani” – dicevi sempre che la città ideale era un insieme di Calcutta e Napoli -, il non essere mai banale, la capacità di guardare oltre.
Ma mi mancheranno infinitamente le tue parole, la possibilità di vederti e ascoltarti.
Come si fa a perdere il dono di averti conosciuto e sentito quasi ogni giorno?