Napoli capitale del Sud ha un sindaco sospeso. Come sospeso in eterna emergenza è il Mezzogiorno tra cercare il balzo della riscossa e il cadere nel precipizio. La sospensione di Luigi De Magistris è provocata da una condanna penale (anch’essa sospesa) ma che ha fatto scattare l’interdizione prevista dalla legge Severino, tagliola giudiziaria e orrida norma benvista dai giustizialisti antiberlusconiani che oggi invece si accapigliano contro il provvedimento da cartellino rosso che ha messo fuori gioco il sindaco arancione eletto a furor di popolo al motto “scassiamo tutto”. Lo scasso è avvenuto ma non era proprio quello annunciato.
Seguo De Magistris come giornalista da almeno tre lustri. Non ho mai avuto con lui una frequentazione personale, non ho mai messo i miei scritti al servizio delle sue inchieste giudiziarie, non mi sono mai iscritto al pool di colleghi che ha avuto mandato di smontare il suo compulsivo attivismo giudiziario. Sono stato terzo nei giornali che ho scritto e diretto, e ho detto la verità quanto sono stato sentito come persona informata sui fatti nell’inchiesta della procura di Salerno che ha provocato un conflitto di poteri senza precedenti nella storia repubblicana.
De Magistris condannato per abuso che non accetta il “dura lex sed lex” è il rovesciamento finale di un copione di chi voleva tutti dentro e al momento vede il Saint Just di Pontegrande fuori da quel Palazzo conquistato con la notorietà mediatica del Grande inquisitore.
Il Pm per lui aveva chiesto l’assoluzione dando credito alla versione che era stato il solo Gioacchino Genchi ad abusare delle intercettazioni di parlamentari senza informare lui, il pm di Why not ,apostrofato dai giornali partenopei di finto pelo garantista come “Gigino a manetta”. Una guerra civile ad alta intensità quella combattuta da Luigi De Magistris, discendente di famiglia di magistrati napoletani di quarta generazione, quasi nel cognome ci fosse una profezia rinverdita dal giovane guachiste del Vomero aspirante toga rossa. La pubblicistica partigiana dei Travaglio e dei Facci non aiuterà mai a comprendere quello che accadde sul farsesco finale della Seconda repubblica, e per questo motivo che io , cari amici, giornalista di provincia, che ho avuto la possibilità di esercitare il mio mestiere dove si dispiegò quella azione penale e quei fatti mi assumo la responsabilità di offrire qualche riflessione terza ai miei lettori della domenica.
Gigi De Magistris non ha mai fatto parte di quelle camarille che giocano a poker a Catanzaro, incontrano personaggi loschi a Locri e muovono denari pubblici, informazioni interessate e voti in tutta la Calabria. Pero’ la sua azione penale non ha funzionato e alla fine ha tenuto in vita molti pescecani che oggi passano per vittime della malagiustizia. L’inchiesta dei depuratori chiamata Poseidone doveva rimanere circoscritta ai primi cerchi concentrici. E la valigetta contenente 3 milioni e 354 mila euro intercettata ai confini della Svizzera dai finanziari di Domodossola doveva essere il punto fermo dell’inchiesta. Invece si alzo’ il passo alla presunta fuga di notizie inquisendo il procuratore, il figliastro che era nello studio del parlamentare e poi tutto il mondo in ordinanze sui reati associativi che contemplarono astrazioni giudiziarie astruse e zoppicanti nel Diritto.
E poi la denuncia per diffamazione a mezzo stampa di Nicola Adamo a Gian Antonio Stella diventa la miccia esplosiva di De Magistris che fa indagare Prodi, Mastella e tutto il pantheon calabrese della politica politicante in combutta con gli affaristi Salatino e Gatto. Testimoni chiave dalla credibilità pari a zero non saranno utili a creare prove provate giudiziarie su uno scenario poco edificante che solo qualche lacerto di giornalismo d’inchiesta aveva provato a svelare. E si aggiunse carne al fuoco con l’inchiesta Toghe lucane ereditata da altro comprensorio per non venire a capo a nulla con una valanga di assoluzioni.
Un guazzabuglio che ha messo al pubblico ludibrio mediatico persone innocenti e fornito salvacondotti a presunte vittime della mani pulite calabrolucana. De Magistris sotto le insegne dipietriste sarà eletto parlamentare europeo a furor di popolo da una massa indignata e variegata antesignana del nascente grillismo che trova il suo capopopolo. Pronto subito a trasformarsi nei panni di Masaniello capace di saper sfruttare egregiamente l’elezione a sindaco di Napoli per manifesta impresentabilità dei candidati partitocratici. Mi viene oggi da far un paragone con Giacomo Mancini, sindaco sospeso di Cosenza per rinvio a giudizio per associazione mafiosa fino all’Appello che inverti’ la condanna di primo grado.
Mancini fece il sindaco ombra come vuol fare oggi de Magistris, ma lo fece con un consenso largo dei suoi cittadini e dell’opinione pubblica che non credeva alla sostanza di quel provvedimento giudiziario e quindi contestava la forcaiola norma liberticida che ne conseguiva. Oggi De Magistris mi sembra asserragliato con i suoi sostenitori di piazza e di Rete a difendersi da un processo in parte iniquo e da una norma che andrebbe discussa con neutrale attenzione. Una vittima di quel giustizialismo da lui stesso cavalcato. Sul fronte politico si accerta una rivoluzione mancata. Napoli oggi non è un laboratorio di democrazia. Un’occasione sprecata figlia dell’infinita e mai risolta emergenza italiana.
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