“I grandi latitanti sono stati assicurati alla giustizia e quello che manca sono certo che verrà preso“. Il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, non lo nomina neanche. Non ce n’è bisogno: dopo oltre 20 anni di caccia, Matteo Messina Denaro è in cima alla lista dei boss più ricercati e più aumentano i suoi giorni da uomo libero più la sua forza trova conferme.
“Quando un boss è latitante da così tanto tempo – spiega Roberti – significa che può godere di protezioni e coperture che ne attestano il suo potere“. “Il suo potere e quello della mafia che – avverte il magistrato – è viva e vegeta e se non ammazza in Sicilia è solo perché fa affari e può godere di una sorta di equilibrio“.
Gli omicidi, come succede in Campania dove “il clan dei Casalesi è stato distrutto“, avvengono “solo quando questo equilibrio si rompe“. Roberti, sulla scia di quanto sosteneva Giovanni Falcone, è convinto che, per sconfiggere la criminalità, serva un’azione a 360 gradi e che informare sia importante quanto agire. Per amore del mio popolo non tacerò, era il titolo della lettera che Don Giuseppe Diana diffuse nelle chiese di Casal di Principe due anni prima di finire vittima della camorra. Con quello spirito e ricordando la sua figura, Roberti inizierà la sua opera divulgativa sulla lotta alla mafia nel programma “Diario Civile“, in onda da domani sera per dieci settimane su Rai Storia.
Lo scenario è quello di Castel Capuano, sede per decenni della giustizia napoletana e seconda casa dell’attuale numero uno dell’antimafia. Fu lì – ricorda lui stesso – che ricevette la prima telefonata di lavoro da Falcone, primo atto di “un rapporto anche di amicizia interrotto solo il 23 maggio 1992“. Fu proprio Falcone a ideare, poco prima della morte, insieme all’allora direttore del Tg2 Alberto La Volpe, “Le lezioni di mafia“.
Ora “Diario Civile” servirà a raccontare quello che è diventata la mafia nel terzo millennio e quali sono gli strumenti per sconfiggerla. Roberti si dice convinto che la politica non abbia più quel ruolo nel mantenimento degli equilibri che ha avuto nel passato. Punta, piuttosto, l’indice contro l’economia mafiosa che “rappresenta un peso intollerabile per il nostro Paese“, che ammonta, come precisato dalla Corte dei Conti, a 60 miliardi di euro l’anno. Più che nuove norme, “che pure vanno perfezionate“, il procuratore chiede “strumenti organizzativi e finanziari“, quelli che finora sono mancati. E detta l’agenda per il nuovo governo: “La prima misura da prendere è rendere funzionale l’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia“, afferma prima di citare, oltre alle modifiche normative sulla prescrizione e sul falso in bilancio, anche la necessità di rendere efficiente la giustizia sia civile che penale. “Renzi – afferma – ha assicurato in un recente articolo che la lotta alla mafia sarà centrale per il governo, sono certo che seguiranno azioni concrete“.