A quanto è dato leggere in alcuni giornali economici nazionali, sarebbe stata presentata una bozza da parte del Ministero dell’Economia per modificare il decreto legislativo n. 231/2001. In base a tali modificazioni da dicembre gli enti pubblici non dovrebbero avere più l’obbligo di comunicare le operazioni sospette.
Una modifica a nostro giudizio inconcepibile perché inciderà fortemente sulle emergenze del nostro Paese: la lotta al riciclaggio, alla criminalità organizzata, alla corruzione, all’evasione fiscale e al terrorismo.
La legislazione vigente stabilisce che ogni pubblica amministrazione è tenuta a individuare un soggetto “gestore” delle segnalazioni antiriciclaggio (che può coincidere con il responsabile anticorruzione), implementare un sistema che garantisca la segretezza delle segnalazioni, definire procedure interne, formare i propri dipendenti. Tutto questo è ciò che, sinteticamente, dispone il decreto del Ministero dell’Interno del 25 settembre 2015, adottato su proposta dell’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) presso la Banca d’Italia, di concerto con l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
Con lo stesso decreto, inoltre, al fine di ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive, sono stati definiti gli indicatori di anomalia della transazioni economiche. Su questo delicatissimo argomento già intorno agli anni ’80 il giudice Giovanni Falcone e il Prof. Pino Arlacchi, a proposito della lotta contro le mafie, sostenevano correttamente che occorresse seguire i flussi di denaro per poter arrivare ai mafiosi ed ai loro complici. Sulle loro idee, ancora attualissime, la Commissione Europea ha approvato una direttiva anti-riciclaggio a maggio 2015 (Direttiva 2015/849), rafforzando il potere delle unità di informazione finanziaria (in Italia l’UIF presso la Banca d’Italia), per meglio tracciare le transazioni di denaro delle reti del crimine organizzato e accrescere il potere delle autorità nazionali competenti a “congelare” e confiscare i beni frutto dell’illecito.
Penso che se questo settore debba essere riformato le modifiche non possono non interessare l’applicazione il principio della “tolleranza zero” nei confronti del riciclaggio di denaro sospetto. Ritengo che le minacce di riciclaggio in Italia siano rilevanti a causa della diffusione e della pervasività della criminalità organizzata, della corruzione, dell’evasione fiscale e non ultimo del terrorismo.
Gli uffici della pubblica amministrazione, particolarmente esposti all’incidenza della corruzione, ad esempio nei settori degli appalti e dei finanziamenti pubblici, mostrano ancora scarsa sensibilità per l’antiriciclaggio malgrado siano sempre stati ricompresi nel novero dei soggetti obbligati alla segnalazione. Questa negligenza ne accresce la vulnerabilità.
Se si confermasse l’intento del Governo di modificare la attuale legislazione, eliminando l’obbligo di segnalazione degli enti pubblici, credo che i danni potrebbero essere irreparabili. La pubblica amministrazione è, e deve restare, un presidio indispensabile nell’attività antiriciclaggio. Direi di più: la pubblica amministrazione pur essendo obbligata a collaborare, ha contribuito pochissimo se guardiamo all’ammontare complessivo delle segnalazioni sospette che arriva dal sistema antiriciclaggio. La riforma dovrebbe andare nella direzione opposta agli orientamenti attuali, obbligando gli enti pubblici ad adottare procedure interne molto stringenti per le rilevazioni di operazioni sospette, la tempestività della segnalazione alla UIF, la massima riservatezza dei soggetti coinvolti nell’effettuazione della segnalazione stessa e l’omogeneità dei comportamenti.
Sarebbe un nuova sfida, che ad alcuni può sembrare impossibile, in cui la Pubblica Amministrazione del nostro Paese si gioca la sua credibilità e la capacità di contrastare le illegalità che derivano dal riciclaggio e dalle transazioni di denaro sospette. Sarebbe anche un segnale concreto nella lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione che pervadono e uccidono il nostro Paese.