Anche San Francesco fu clandestino. Nel giorno della visita del Papa a Lampedusa a ricordarlo è don Felice Accrocca, storico del francescanesimo, sul sito sanfrancesco.org del Sacro Convento di Assisi.
“Curiosamente – scrive il religioso -, anche Francesco s’imbarcò clandestinamente, una volta: nel sesto anno dalla sua conversione (1212) salì su una nave con il desiderio di recarsi in Siria, ma venti contrari dirottarono l’imbarcazione sulle coste dalmate. Visto che non vi erano altre navi in partenza per la sua originaria destinazione, cercò allora di rientrare in Italia: i marinai di una nave diretta ad Ancona, però, non vollero riceverlo, adducendo quale motivazione del loro rifiuto l’insufficienza dei viveri. ‘Ma il santo, scrive il suo primo agiografo, fiducioso nella bonta’ di Dio, salì di nascosto sull’imbarcazione con il suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale, sconosciuto a tutti, che consegnò a uno dell’equipaggio che era timorato di Dio delle vivande, dicendogli: Prendi queste cose e dalle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nella nave, ogni volta che ne avranno bisogno. E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; rimasero solo quelli del poverello Francesco; i quali si moltiplicarono talmente, con la grazia e la potenza operativa di Dio, che, essendovi ancora molti giorni di navigazione, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona. Allora i marinai compresero che erano stati scampati dai pericoli del mare per mezzo del servo di Dio Francesco”.
“Non entro nei particolari del racconto – scrive don Accrocca -, né su quelle che possono presentarsi come amplificazioni agiografiche. Resta il fatto, difficilmente contestabile, che Francesco s’imbarcò clandestino (una tale notizia nessun agiografo l’avrebbe inventata mai, neppure per favorire una storia a lieto fine), e che proprio quel clandestino, accolto sulla nave, seppure all’insaputa di chi ne aveva il controllo, costituì per tutti una risorsa nel momento del bisogno. Non voglio con ciò dire che bisogna aprirci a un’accoglienza illimitata e senza condizioni, perché il bene ha le sue regole e bisogna rispettarle, e noi, mi ripeteva sempre il mio vescovo, mons. Giuseppe Petrocchi, ora arcivescovo di L’Aquila, dobbiamo imparare a fare bene il bene. Neppure però dobbiamo dimenticare che i poveri cristi che approdano alle nostre coste su carrette del mare sono l’incarnazione viva di Cristo e che quegli stessi, che siamo subito pronti ad avvertire come un problema – conclude lo storico -, potranno essere un domani, anche per noi, una risorsa”.