Cresce il livello di irregolarità del lavoro sommerso, che si fa precario: dal 2007 al 2012 nel Mezzogiorno la quota di irregolarità del lavoro è passata dal 16,8% al 19,1%, con punte superiori al 30% in Calabria.
Sono i dati sul lavoro sommerso nel Sud Italia diffusi dal Censis in occasione del seminario per il contrasto al fenomeno organizzato a Napoli dal ministero del Lavoro.
I lavoratori irregolari hanno fatto registrare un aumento del 7,5%, contro una diminuzione del 7,7% del lavoro regolare. Nel contesto generale della crisi, anche il sommerso diventa precario perché si diffonde sempre più nei settori a basso valore aggiunto, alle attività di servizio (commercio, turismo, ma anche terziarie, tanti servizi di cura alla persona).
Un sommerso “povero” perché del tutto slegato allo sviluppo e sempre meno destinato, rispetto al passato, a “riemergere” nell’alveo della regolarità.
E’ un sommerso dettato da un’offerta di lavoro “povera”, che si è moltiplicata quantitativamente mentre le opportunità di lavoro si sono ridotte, e che gioca in una logica di concorrenza al ribasso.
L’aumento del numero dei disoccupati, arrivati a 1 milione 450 mila, cassintegrati, e 1 milione 838 mila Neet nel Mezzogiorno tra i 24 e 35 anni, di cui 900 mila hanno al massimo la terza media ha moltiplicato la richiesta di lavoro rendendola merce da acquistare al costo più basso.
Dunque, secondo il Censis, il nuovo sommerso, povero e precario, è funzionale ad una logica di sopravvivenza delle imprese, che non è detto che sia in grado di mantenere in vita l’economia meridionale.
Il fenomeno del sommerso è destinato a diventare sempre più marginale rispetto alle traiettorie di sviluppo, che ha un “impatto regressivo” sull’economia, perché, stando all’analisi del Censis, si sviluppa e si alimenta assieme al rafforzamento dei circuiti di economia parallela, che vivono totalmente nell’illegalità.
Per esempio la contraffazione che, secondo una stima, movimenta un giro d’affari di 6,4 miliardi di valore aggiunto e 105 mila occupati.
Oppure l’abusivismo commerciale per il quale nel Sud si stimano 47 mila esercizi abusivi commerciali, l’11,6% del totale degli esercizi commerciali, su 67.600 in tutta Italia, pari al 70%.
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