All’amico che pensava al suicidio perché la ragazza lo aveva lasciato ha detto: ‘Vieni un po’ a trovarmi prima e, in ogni caso, se proprio vuoi farla finita, ucciditi in modo da preservare gli organi, il cuore innanzitutto”. Vita e morte, senza giri di parole. L’amico ha cambiato rapidamente idea, è andato a fargli visita in ospedale a Napoli e ha capito la gerarchia dei valori.
Massimo, poco più di 12 anni, in attesa di un trapianto, una maturità rapidamente acquisita più di molti adulti, lo sa bene cosa vuol dire la vita alla quale è legato da una macchina che sostituisce il suo cuore malato. Cerca di fare una vita ‘normale‘ da cinque mesi in una stanza del ‘Monaldi’ (Azienda ospedaliera specialistica dei Colli diretta da Antonio Giordano) e domani scende idealmente in piazza con il suo cuore artificiale, il Berlin Heart, per la ‘Giornata nazionale della donazione degli organi e dei tessuti’.
Avrebbe voluto farlo per davvero ma difficoltà organizzative e tecniche, legate alla macchina, glielo hanno impedito. Ma non c’è problema, la sua idea non cambia: ”Ora voglio che lo sappiano tutti, voglio che si sappia come si vive con un cuore artificiale, voglio che si capisca l’importanza di donare gli organi, voglio che si sappia che ci sono persone straordinarie che aiutano chi soffre in attesa di ricevere un cuore ‘vero”’. Frasi secche quelle pronunciate da Massimo, frasi da ‘grande’ mentre alle sue spalle campeggiano le gigantografie dei suoi miti, Callejon e Higuain a ricordare che pur sempre di un ragazzino stiamo parlando che spera nella Champions e nello scudetto. Non ha dubbi né lui né i suoi genitori: in Piazza Plebiscito domani avrebbe voluto esserci con il suo salvavita senza la paura di diventare fenomeno da baraccone.
”Avrei voluto essere testimonial di una condizione – dice con il sorriso sulle labbra – oggi non si sa cosa significa donare, non si sa neppure come farlo, c’è tanta ignoranza. In molti pensano che in ospedale ti vogliono ammazzare un figlio, un fratello. E poi devo anche dire che non sempre si fa prevenzione nel modo giusto, negli ospedali non si comprende subito la gravità della malattia…’‘.
Già, con lui è andata più o meno così. Un po’ di affanno, qualche giramento di testa, scattano gli accertamenti. Si brancola nel buio per mesi fino a che agli inizi di gennaio la situazione precipita e si arriva al Monaldi. Qui entrano i azione quelli che Dafne e Stefano, 45enni, genitori di Massimo, chiamano gli ‘angeli’. Hanno un nome ed un cognome per tutti i genitori e i piccoli pazienti del reparto di Cardiochirurgia pediatrica guidato da Giuseppe Caianiello: oltre a lui, gli operatori sanitari, ma soprattutto Andrea Petraio, il giovane cardiochirurgo che lo sta seguendo da vicino.
A trentasei anni sfida la morte cercando di aiutare i tanti piccoli pazienti e trattandoli soprattutto da persone normali, esaltandone i pregi, bacchettandoli quando lo meritano. Felice come un bambino mostra su un pc il video che i calciatori del Napoli hanno girato in occasione della Giornata della donazione, spiega come funziona il Berlin Heart capace di sostituire parzialmente (come è il caso di Massimo) o totalmente il cuore di un paziente, racconta l’esperienza del 12enne. Ma quando un bambino di quattro anni entra nella stanza col suo papà e prima piange e poi gli sorride gettandosi tra le sue braccia si scioglie, lascia perdere tutto e si dedica a lui. Fuori c’è un bel sole che illumina il Golfo di Napoli, da quella stanza in collina sembra ancora più bello.
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