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120 mila fabbriche chiuse in due anni. Così muore l’industria in Italia
05 Giu 2014 09:41

Anche il Brasile sorpassa l’Italia, che arretra dal settimo all’ottavo posto nella graduatoria dei maggiori Paesi produttori stilata di anno in anno dagli economisti di Confindustria. 120mila fabbriche chiuse tra 2001 e 2013, 1 milione e 160mila occupati in meno nell’industria: “un quadro impietoso“.

E’ “un bollettino di guerra” ammette il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che però avverte: “Non siamo vittime di un destino crudele e ineluttabile, siamo noi che possiamo e dobbiamo costruire il nostro futuro”.

Lo dice commentando “la mappa pesante ma assolutamente realistica” che emerge dal rapporto di giugno sugli scenari industriali del centro studi di Confindustria: oggi serve “un salto di mentalità, una svolta chiara e decisa. E mi pare – sottolinea con un messaggio di fiducia – che si stanno creando le condizioni per tale svolta. Sono sicuro che ce la possiamo fare: ce la dobbiamo fare”.

Segnali di sintonia con il Governo: il ministro Federica Guidi, ex leader dei giovani imprenditori, ha “rassicurato” la platea dell’assemblea di Confindustria ed il suo leader, la scorsa settimana: con un “giusto approccio”, quello “da tanto tempo chiesto da Confindustria”, “pro industria e pro impresa”.

Ed “ha fatto molto piacere” al presidente degli industriali, che il premier Matteo Renzi “in più di un’uscita pubblica abbia sottolineato l’importanza dell’industria per la nostra economia”.

La ricetta degli industriali è chiara: “il lavoro è la priorità assoluta“; ma si deve partire dal “rilancio del manifatturiero”, e da “una stagione di nuova politica industriale” che va condivisa e non imposta dall’alto, cogliendo opportunità come il semestre italiano di presidenza Ue: perchè senza una industria “in salute” e “centrale nei processi dell’economia”, “non può esserci crescita, e senza crescita è impossibile generare lavoro”.

“Nel mondo la manifattura si espande (+36% 2001-2013), in Italia si restringe (-25%)”: l’analisi del CsC sui maggiori Paesi produttori sottolinea l’andamento in “netta controtendenza” del nostro Paese, una Italia che “fa peggio proprio là dove altri fanno meglio”. L’ottavo posto resta “un ottimo piazzamento”, anche perchè siamo al ventitreesimo “per stazza demografica”: ma – è l’analisi del capoeconomista di Confindustria Luca Paolazzi – nel far perdere all’Italia posti in classifica hanno pesato “demeriti domestici” senza i quali avremmo difeso un ottimo “sesto posto”. Demeriti, come “l’asfissia del credito, l’aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi”.

“Il Brasile corre, noi lo facciamo all’indietro come i gamberi”, commenta il leader della Cisl, Raffaele Bonanni.

Intanto le Camere di Commercio puntano sulle start up, sui “123 mila i giovani” che vorrebbero creare una nuova impresa ma sono frenati da mancanza di mezzi e burocrazia: su questa strada – è l’obiettivo di Unioncamere che chiede misure specifiche al governo – si può puntare a trentamila nuove imprese di giovani e 51 mila occupati in più in 2 anni, per contrastare la crisi occupazionale che porterà nel 2014 a perdere altri 144 mila posti di lavoro nell’industria e nei servizi.


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