E’ davvero stucchevole vedere come tal Adinolfi, su Il Mattino di Napoli, si avventuri in un’intemerata contro Galli Della Loggia. Dagli argomenti che oppone, non mostra di avere gli strumenti per confutare il pensiero di uno storico.
Galli della Loggia, con il quale sono su posizioni distanti nel campo politico-filosofico, pone un’importante questione: la dissoluzione dello stato nato dal Risorgimento e di rimando la scomparsa della Questione Meridionale posta in termini classici.
E’ questo il tema su cui bisogna serenamente dibattere.
Personalmente sono d’accordo con Della Loggia, anzi le sue parole sono state un’illuminazione su argomenti al centro delle mie riflessioni, da più di un decennio.
Lo stato post-unitario dei governi della destra e sinistra storica (cui Giolitti gestì la fase del declino), lo stato che nacque con il fascismo, lo stato che si ricostruì dalle ceneri di una dittatura, avevano come missione insita l’unificazione dell’ex Regno di Napoli con l’ex Italia dei Comuni. Cioè uno stato dalla struttura feudale franca, con un’Italia che ha risentito del libero scambio, del pensiero calvinista e quindi partecipativa della Rivoluzione Industriale.
Un’Italia che non poteva che essere a due velocità e che le commissioni nate con i governi Ricasoli, Rattazzi e Minghetti, tutte incentrate sul fenomeno del brigantaggio, descrivevano stentoreamente nel suo crudo sottosviluppo.
La Questione Meridionale mutò con il tempo, da argomento di unificazione, a tema tecnico di parificazione economica e culturale.
Le varie organizzazioni di stato che si sono succedute in centocinquant’anni, hanno dato risposte che si muovevano sulla linea degli studi di Nitti, Salvemini, Fortunato, Fraschetti, Croce, Colayanni, Sonnnino e Compagna. Ma quell’Italia non esiste più. Quella forma di stato non si è proprio dissolta, come dice Della Loggia, ma si è sensibilmente stemperata. Indi, dibattere in maniera ortodossa di meridionalismo non ha più senso.
Per questo parlavo in altri interventi di neomeridionalismo. Ed in tale tema inserivo il concetto di “cultura del bene pubblico” e dunque di cosa pubblica, che al Sud dovrebbe essere messa al centro della ricostruzione di un tessuto sociale e quindi economico.
Quando Della Loggia “indica” alla società meridionale di non avere un senso approfondito dello stato, a mio avviso dovrebbe parlare: di un mancanza di un senso ampio di collettivismo. Tale locuzione é molto più incisiva, perché delimita i confini su cui lavorare.
Pagare le tasse, rispettare le leggi, ribellarsi alle mafie e al clientelismo, è inclusivo del concetto di rispetto della società, di una società che funziona e prospera in virtù della coesione. Invece al Sud convivono una solidarietà animistica e la difesa maniacale della roba e dunque del “particulare“.
Il tema è intellettualmente florido e siamo appena agli inizi di un lungo cammino di idee.
Galli Della Loggia ha dunque dato un ottimo contributo a chi lo percorrerà. E che abbia contemporaneamente stigmatizzato l’attuale premier, lo trovo ovvio, come l’ho censurato anch’io.
Chi passa la propria giornata costruendo la piramide del sapere strutturale, che non ha nulla di accademico e di accademie, basisce davanti a delle manifeste vacuità. Se poi c’è un qualcuno che prova a difenderlo, senza argomenti in causa, soggiunge la tristezza.