Il mio papà, figlio di un veneziano di Alessandria d’Egitto e di una milanese, non aveva nemmeno una goccia di sangue napoletano, nulla.
Ma era nato e cresciuto a Napoli, lì aveva fatto lo scout, là si era laureato e là – al liceo scientifico Vincenzo Cuoco – quando aveva 15 anni, aveva conosciuto mia madre.
Lui parlava il milanese di sua madre e il francese di suo padre.
Ma parlava soprattutto il napoletano che aveva imparato giocando con gli scugnizzi di Napoli.
E quando ero piccolo, per farmi addormentare, mi cantava le canzoni napoletane: Santa Lucia luntana, Je te vurria vasà, Torna a Surriento.
Con quelle canzoni sussurrate di notte mi ha insegnato che non si è di dove si è.
Si è del posto a cui si appartiene.