Si parla molto di lavoro ma poco, pochissimo, di servizi per il lavoro. Eppure, il tema è di cruciale importanza: una rete efficiente di servizi per il lavoro, omogenea da Nord a Sud, è il presupposto di un Paese che voglia garantire al cittadino un effettivo “diritto al lavoro”.
Da anni, invece, il dibattito si svilisce nella inutile e, talvolta, dogmatica contrapposizione tra Centri per l’Impiego pubblici e Agenzie per il Lavoro private. I primi tacciati generalmente di inefficienza (ma con molta superficialità di analisi), le seconde viste come il rimedio facile facile e immediatamente cantierabile. In realtà, il nostro mercato del lavoro, provato da una crisi lunghissima, ha bisogno di entrambi. E la situazione nel Paese è a macchia di leopardo: ci sono servizi che funzionano e altri che non funzionano.
Va chiarito chi fa cosa e come, chi programma e regola e chi gestisce. Senza approccio demagogico, perché sono anni che abbiamo celebrato il funerale del monopolio pubblico del collocamento; ma senza continuare a dar voce, soprattutto sui più grandi e autorevoli quotidiani nazionali, a celebrazioni di efficienza del privato in nome dei fondi europei della youth guarantee da gestire.
Bisogna intervenire in fretta. Rafforzando le funzioni dei Centri per l’Impiego in totale complementarietà con le Agenzie per il Lavoro. Va sviluppato un modello di integrazione che valorizzi entrambi gli attori, consentendo loro di fare quello che meglio sanno fare. A tutto vantaggio del lavoratore.
Può esserci uno Stato moderno senza un pronto soccorso pubblico del lavoro? Senza servizi efficienti in grado di informare, orientare, formare, rilevare continuamente le offerte di lavoro disponibili? Senza CPI che prendano in carico le fasce più deboli dei disoccupati, quelli con basso potenziale di occupabilità e per questo poco ricollocabili e dunque poco considerati dai servizi privati. È indispensabile riorganizzare i CPI sulla base di programmi chiari, di investimenti economici che mancano da anni e con risorse umane qualificate.
Al tempo stesso, i privati autorizzati dal ministero del Lavoro hanno dimostrato in questi anni di poter svolgere, in molti casi con concretezza, attività di ricollocazione e intermediazione tra domanda e offerta. Vanno messi in condizione di poter svolgere il loro ruolo di soggetto privato, di accollarsi il rischio di impresa, di venire pagati a risultato, in base alla propria efficienza, al di fuori di qualunque logica “parassitaria” rispetto al Pubblico.
In Italia qualcuno ci ha già provato. Al Nord, con buoni risultati, la Provincia di Torino avviando il progetto OccupaTO. Al Sud ci stiamo provando a Pescara, mi si perdoni l’autocitazione, con il progetto LINFA. Da settembre, per sei mesi, sperimentiamo un modello di integrazione CPI-APL per riuscire a ricollocare 250 lavoratori colpiti dalla crisi, in mobilità o cigs per cessazione di attività. Al lavoratore attribuiamo una Dote, con la quale finanziare attività di orientamento, riqualificazione, ricollocazione. Le APL verranno remunerate dalla Provincia, con fondi comunitari FSE, ma solo a risultato, in base alla tipologia di inserimento contrattuale ed alle caratteristiche del lavoratore.
Condividiamo soluzioni, facciamo girare le idee, torniamo a parlare di cosa è necessario per rendere effettivo l’art. 4 della Costituzione.