La sentenza Cucchi, oltre a provocare generale indignazione, speriamo apra un dibattito sempre più serrato sullo stato generale della giustizia in Italia, per capire veramente chi è Cesare, quali implicazioni giungeranno al pettine quando si capirà che i problemi veri, inclusi quelli economici (ovvero le aziende che non investono più in questo Paese per via dei tempi ‘biblici’ con cui ottengono giustizia) passano attraverso la devastazione e il blocco del sistema carcerario, repressivo e preventivo delle pene. Ma andiamo per ordine.
Premesso che nessuno dovrebbe andare mai in galera, ma che tutti dovrebbero accedere in modo certo alla rieducazione attraverso le pene alternative al carcere, che è una istituzione preromana, violenta e rozza, inumana come inumano diventa lo Stato che ti ci condanna, la questione Cucchi gira intorno alla follia di una legge che genera criminalità laddove criminalità non esiste. Nelle scorse legislature, tre persone, dando corda agli istinti di pancia dei loro elettori, hanno scritto le peggiori norme della storia repubblicana, facendo diventare improvvisamente criminali dei cittadini che di criminale non hanno proprio nulla, intasando le scrivanie dei giudici con milioni di processi che non hanno senso, allungando in modo mostruoso i tempi di un qualsiasi giudizio e facendo diventare la prescrizione lo scopo preciso di ogni avvocato difensore.
Giunto è il momento di storicizzare questi personaggi, i cui nomi rispondono a quelli di Umberto Bossi, Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi. Non vogliamo che siano processati e buttati in galera, perché questo non lo vogliamo mai per nessuno, ma davanti al tribunale della Storia devono rispondere, eccome. Nessuno, in 70 anni, ha fatto più danno all’Italia di questi tre. Che all’abolizione delle leggi Bossi – Fini e Fini – Giovanardi vada poi accompagnata una seria rivisitazione della responsabilità civile dei giudici è un’altra cosa evidente, che andrebbe studiata fuori dalla logica ormai antiquata (oltre che stupida) dell’antiberlusconismo a tutti i costi.
Berlusconi, ormai lo abbiamo capito, in galera non ci andrà mai, e io, che in galera non ci vorrei nessuno, sono molto contento di questo. Io non vorrei in galera né lui né quelli che hanno massacrato Cucchi, né altri. Vorrei però evitare che facciano ulteriori danni alla società, interdirli, togliere loro le armi, i manganelli, persino gli ombrelli. Il vero problema, in questo senso è proprio Cesare, la sua impersonalità, lo Stato. Fateci caso: questi agenti sono sempre senza nome, non sono imputati normali, sono anonimi, come piacerebbe a qualcuno essere anonimo sulla rete, erano anonimi alla Diaz, era anonimo (o quasi) quello che ha ammazzato Carlo Giuliani, quell’altro che ha ucciso Gabriele Sandri. Sono anonimi e coperti dai caschi quelli che picchiano duro a Terni.
Mettiamoci in testa una cosa. Il 1969 è finito, Pasolini è morto, e stare con la polizia, stare con Cesare e con lo Stato più condannato del mondo in termini di diritti umani nelle carceri, è un delitto, e il silenzio è complicità nazista. E qui veniamo all’ultima questione. La società italiana non reagisce più alle provocazioni del potere. Perché? Provo ad azzardare una conclusione: l’effetto della rete sulla società italiana di questi tempi è più devastante, accecante e paralizzante di quello che ebbe, a suo tempo, la televisione.
La rete (non per sua natura, ovviamente, ma per il modo in cui viene da noi recepita) è un deterrente potentissimo alla ribellione.
Ogni volta che si presenta un problema, una ingiustizia, un crimine, ci precipitiamo a commentare, a discutere, a scrivere la nostra opinione sulla rete, che sia un post, uno stato, un tweet. I nostri amici rispondono, noi rispondiamo, e alla fine abbiamo la netta sensazione di aver sviscerato la questione, il nostro ego si è dissociato per bene e siamo soddisfatti, come se il problema fosse stato davvero risolto.
Di andare quindi in piazza a protestare fisicamente non sentiamo più alcun bisogno. Ecco perché l’Italia ha smesso da decenni qualunque genere di protesta pacifica e seria, cioè in grado di modificare le scelte di coloro che la governano. La modificazione profonda dell’azione sociale, che a questo punto va molto più verso Ortega y Gasset che verso Durkheim o Marx, scinde l’individuo in due: il suo corpo fisico e la sua mente. La mente agisce socialmente senza il corpo, e il corpo diventa sempre meno uno strumento di lotta.
Pure, se vogliamo che Cesare non abbia la meglio su ogni fondamento democratico, dovremmo cominciare ad usarlo di più per opporci alla barbarie.