Lo dicono tutti, gli allarmi si ripetono quotidianamente, i centri di statistica sfornano bollettini di guerra: per un’intera generazione (e, forse, anche due) le porte del mercato del lavoro sono sbarrate.
Il commissario europeo Rehn, ha parlato di un balzo record dei disoccupati nell’eurozona di oltre un punto percentuale in un solo anno, siamo oltre il 12%. In alcuni paesi, come la Spagna, una persona su tre non trova lavoro. Ma l’emorragia non si ferma e, in Italia, in particolare, il rischio di un prolungamento della recessione per tutto il 2013 rischia di far pagare ai disoccupati, siano essi giovani o donne, il prezzo più alto della crisi. Ma non è solo colpa della recessione.
I governi europei, su questo terreno, si sono mossi male e in ordine sparso. In Italia, ad esempio, il combinato disposto della riforma del lavoro e delle nuove regole della previdenza hanno prodotto un vero e proprio pasticcio. Le nuove forme di flessibilità si sono rivelate, nella pratica, inefficaci e farraginose.
L’allungamento dell’età pensionabile era indispensabile per contrastare l’impennata dello spread e trovare questi 7-8 miliardi di euro necessari per ridare ossigeno ai nostri conti pubblici. Ma ha anche avuto due conseguenze negative: in primo luogo ha creato un esercito di “esodati”, lavoratori che da un giorno all’altro si sono ritrovato senza stipendio e senza pensione.
Ma, soprattutto, ha bloccato il ricambio generazionale anche nelle aziende che sono riuscite a resistere alla crisi. Risultato: nell’ultimo anno i lavoratori over 55 anni sono aumentati di circa 400mila unità. E, il Cnel stima che nei prossimi cinque-sei anni, per effetto della riforma della previdenza, ci sarà un incremento di oltre un milione e trecentomila posti occupati da lavoratori anziani.
Un problema, insomma, che non si può eludere e che va affrontato con misure in grado di coniugare la difesa del sistema previdenziale con la necessità di favorire l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani disoccupati. già oggi ci sono oltre due milioni di giovani che non studiano e non lavorano.
Senza considerare che ormai, nella fascia del disagio, c’è tutta una generazione di quarantenni investita in pieno dalle forme di precarizzazione e di flessibilità del mercato del lavoro sperimentate negli anni passati e che ora, con la crisi, rischia di perdere definitivamente l’appuntamento con un posto stabile. Che cosa fare? Le strade a disposizione non mancano, a patto che ci sia la volontà da parte di tutti i soggetti in campo ad affrontare questo tema.
Una delle possibili soluzioni, ad esempio, potrebbe essere quella di favorire una sorta di “staffetta” fra giovani e anziani, sperimentando forme di part time che agevolino l’inserimento nelle aziende dei disoccupati.
Dall’altra parte, si potrebbe incentivare i lavoratori più anziani ad abbandonare il posto prima dell’età minima per la pensioni con un meccanismo di penalizzazioni decrescenti nel tempo. Le soluzioni non mancano, a patto che però tutti siano consapevoli che la partita del lavoro viene prima di ogni altra cosa. Anche del rigore.