I partiti che si sottopongono al giudizio degli elettori non hanno più (a me sembra) un progetto politico.
E’ crollata la distinzione ideologica tra comunismo e liberismo: sulle privatizzazioni neo-liberiste tutti sono d’accordo. D’altro canto, non esiste più una classe operaia da difendere: primo, perché il lavoro, con l’Euro, non c’è più; secondo, perché esiste una pletora di nuovi ‘poveri’: tutta la generazione da 1000 euro al mese (quando va bene), compresi professionisti storicamente appartenenti all’alta borghesia (pensiamo ai giovani avvocati o a professionisti monoreddito e nucleo famigliare ‘consistente’ a carico), privi di rappresentanza sindacale e politica.
Tutti sono, in realtà (tranne pochissimi), d’accordo su tutto: Si euro; Si flessibilità del lavoro; Si privatizzazioni; Si interventi militari nel mondo; Si taglio della spesa pubblica; Si scuola e sanità private; Si inutili riforme della giustizia, in linea con politiche di emergenza o elettoralistiche (come la norme inutili sul femminicidio); Si alle lotte ideologiche su genitori A e B, Si al maquillage sulle quote rosa e simili amenità e cazzabubbole.
Talchè, la competizione elettorale si sposta sull’identità fiduciaria dei singoli candidati: ai quali si riconoscono, in virtù di una “mera” appartenenza di ‘squadra’, virtù taumaturgiche inesistenti. Chi è a sinistra vota a sinistra, anche se il candidato di sinistra di sinistra ha soltanto un braccio, una mano ed una gamba; ed idem dicasi per la destra. E lo stesso può dirsi per altre formazioni. Si propongono e si votano candidati privi di competenza, scelti non si sa come. Con un paternalistica delega in bianco, nella migliore delle ipotesi: “Gigante, pensaci tu”; o con un preciso scambio tra voto e promesse, nella peggiore e, forse, più realistica.
Anche quando i candidati si impegnano a “fare” (e chi più ne ha, più ne mette: lavoro ai giovani -e gli anziani?!?- 80 euro al mese -vedi ultra; abroghiamo il fiscal compact -da dove, da un Parlamento Europeo che non ha competenza in merito?), si tratta di un fare sragionato, non amalgamato in un complessivo progetto macroeconomico, che porti l’Italia fuori dalla palude della crisi, della quale nessuno dice le cause.
Anche quando si impegnano ad un “fare”, è un “fare” che può sortire piccoli effetti di sollievo, ma con più importanti conseguenze peggiori della cura (esempio: 80 euro in più al mese=consolidarsi della bilancia del commercio … tedesca!).
D’altro canto, tutto ciò che l’eletto può fare è distribuire nomine ed incarichi, poiché NELLA STANZA DEI BOTTONI I BOTTONI NON CI SONO PIU’; e le leve della politica economica sono saldamente nella mani di sconosciuti, tutti rigorosamente “Non” eletti, sedenti in seno alla BCE ed alla Commissione Europea.
Allora che cosa c’è da fare? Ci sarebbe da RIFONDARE i progetti politici, su nuove idee di società e nuovi modelli di sviluppo. Progetti nei quali si prenda coscienza delle cause della crisi economica, da individuarsi nelle SPECULAZIONI finanziarie e nella MONETA UNICA, che ha trasferito i CENTRI DECISIONALI ad ORGANISMI PRIVI DI QUALUNQUE RAPPRESENTATIVITA’ democratica.
Ma questa rifondazione esporrebbe i partiti (e soprattutto quelli tradizionali) ad una pesantissima rivisitazione critica della loro azione; ad ammettere di avere sbagliato e,soprattutto, ad ammettere di avere raccontato, attraverso occasionali esponenti, molte cose non vere, spesso per incompetenza; con la prospettiva, magari, di perdere voti; li esporrebbe (ed esporrebbe i loro leader) alla necessità di conquistare un NUOVO ELETTORATO, e magari perdere, in attesa di consolidarsi.
Allora, anziché proporre un progetto politico, tanto vale mirare alla ‘poltrona’, usando l'”avviamento” di una appartenenza storica -che, invero, non significa più nulla- come comoda “riserva” di voti.
IL nuovo progetto politico dovrebbe avere alla base una condizione ineliminabile: LA ETICITA’ dei comportamenti, di tutti. Degli imprenditori come dei dipendenti, dei politici come dei governati.
Eticità non significa soltanto rispetto della legge (il minimo indispensabile per vivere insieme), ma anche solidarietà e, soprattutto, piena assunzione di RESPONSABILITA’ delle proprie iniziative e delle conseguenze positive o negative che da essere derivano.
Non è etico che si desiderino o si accaparrino profitti, quando non si è disposti a sopportare le perdite: ad esempio, chi presta denaro “male”, deve essere -poi- pronto a subire le conseguenze del suo errore e non può pretendere che altri lo salvino, a spese della collettività;
non è etico l’imprenditore che, non avendo ottenutolo lo sperato risultato positivo dalla sua iniziativa, si ritagli un profitto diminuendo i salari, licenziando, o precarizzando il lavoro.
Non è etico si tagli la spesa produttiva, lasciando invariate quelle che producono accumuli di capitale che non circola;
Non è etico che il destino di una nazione sia deciso da persone straniere, che stampano un solo euro, o un miliardo di euro, senza alcun mandato elettorale e senza assumere alcuna responsabilità del fallimento della loro azione.
Non è etico si consenta alle banche di investire in speculazioni, anziché nell’economia reale, soltanto perché con le prime si guadagna di più e subito: al prezzo di mettere sul lastrico intere generazioni, cui verranno addebitati i costi di investimenti sbagliati.
Non è etico si accetti la mancanza di solidarietà europea nella gestione dei grandi movimenti di individui.
Non è etico che lo Stato abbia rinunziato a tutelare tempestivamente e con umanità la salute sei suoi cittadini, senza ma e se; rinunziato a fornire loro formazione adeguata, anche sul lavoro; con la scusa che così si ‘creano’ posti di lavoro (che non si creano per legge, né per decreto legge, ma per reddito e domanda)
Non è etico uno Stato che non abbia a cuore e non ponga CENTRALE tra gli obiettivi la felicità dei suoi cittadini, secondo il merito etico e solidale.
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