«Era la controra, nel bel mezzo del pomeriggio, quando la solitudine morde di più […] Il respiro si fece affannoso, il terrore di diventare preda la prese alla gola. La finestra le parve la sua unica via di fuga. La aprì e, una volta sul balconcino, scavalcò l’inferriata e si lasciò cadere dal quinto piano giù nel cortile […] Si illudeva che fosse un volo per poi risalire, a volo d’angelo. Ma non fu così. Non ci fu risalita». Le pagine che Renzo Paris dedica ad Amelia Rosselli hanno a che fare con la spiritualità e sono un tributo ad una delle voci più libere, musicali e tribolanti della poesia italiana del secondo Novecento. La poetessa che piaceva a Pier Paolo Pasolini e che per lei si impegnò affinché Garzanti pubblicasse il suo lavoro, fu segnata per tutta la vita dal vile assassinio di suo padre Carlo Rosselli e di suo zio, per mano dei fascisti francesi. Questo accadimento popolò la sua mente con una moltitudine di presenze che svanirono solo alla controra del pomeriggio dell’11 febbraio del 1996. «Non era il denaro che mancava a Melina, ma il corpo dei suoi genitori». Carlo Rosselli aveva sposato l’inglese Marion Catherine Cave che concepì Amelia a Lipari dove suo marito era stato confinato dal regime fascista. Il 28 marzo del 1930, a Parigi, nacque Amelia a cui fu dato il nome della nonna, Amelia Pincherle Rosselli, zia di Alberto Moravia.
«Era più nutriente di un seminario universitario» dice di lei Paris nel colto e raffinato ritratto che costruisce con questo libro, «una donna sola, aggredita dalla schizofrenia fin da bambina, ma salvata a lungo dalla musica e dalla poesia».
Un libro che Paris aveva dentro di se da tanto tempo, ma che faceva fatica a prendere forma. Poi decide di scriverlo e lo fa innanzitutto per incontrare il suo fantasma, i suoi fantasmi, che fanno compagnia anche a lui da molto tempo. Chissà se adesso, dopo aver scritto, dopo essere stato sulla tomba di Amelia, queste presenze si acquietino. Trovino pace.
Una scelta felice quella di raccontare quel giorno, l’accadimento, utilizzando più voci, una scelta molto contemporanea, così come quella di ricostruire quel giorno attraverso i ricordi di altri giorni.
La meglio gioventù del Novecento italiano attraversa questo libro. Quando Paris scrive e ricorda Carlo Rosselli, Alberto Moravia, Filippo Turati, Gaetano Salvemini, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, la resistenza militare e intellettuale al fascismo, il ruolo attivo degli intellettuali, sembra stia scrivendo di persone di un Paese altro e non del Paese miserabile che siamo diventati. E com’è bravo ha dosare cronaca dell’oggi e storia in un gioco di rimandi che vorresti non finisse mai.
I fantasmi che a lungo gli hanno fatto compagnia, qui li vedi giovani, belli, forti, immortali. Proprio immortali perché la storia, e questi fantasmi sono parte importante della nostra storia recente, rende gli uomini immortali.
Renzo Paris percorre le strade che ha percorso Amelia Rosselli, a volte le ripercorre come nel caso di Parigi. Utilizza questo metodo per ricordare e mettere meglio a fuoco i ricordi, quelli suoi diretti e quelli, indiretti, di Amelia. E utilizza anche internet per ripercorre i passi di Amelia quando era Melina e viveva negli Stati Uniti d’America, per esempio per conoscere Larchmont, ad una trentina di chilometri da Manhattan, NYC.
La lingua che Paris utilizza è una lingua sapida, ricercata. Sospesa tra diario, affabulazione e poesia. Sempre precisa, mai vaga. Indagatrice a volte, rassicurante altre. Narcisa.
Non dimentica di essere, anche, un critico letterario ed è prodigo di consigli. «Sono i tre fiori della sua poesia» scrive a pagina 113, «tre libri che sono il suo lascito migliore: Variazioni belliche (1964), Serie ospedaliera (1969) e Documento (1976, composto dal 1956 in poi). Così come non si esime, per bocca di Pier Paolo Pasolini, di esprimere giudizi sul Gruppo 63.
E non si limita solo a consigliare le migliori liriche, alcune le propone nella narrazione al fine di far comprendere meglio e in tempi più rapidi la grandezza di Miss Rosselli, al dunque, Melina. Si apre fino in fondo, sincero come solo i poeti sanno essere, quando ci regala il giudizio di Amelia sul suo poetare.
«Avevamo due idee diverse di chiarezza. A me sembrava più modestamente di servirmene, imitando i poeti latini, per permettere al lettore di cercare un sottotesto inconscio, lei invece usava magistralmente il buio per arrivare alla luce. E mentre lei usava la cancellazione dell’io, per una avanguardia di vita, io al contrario acciuffavo l’io. Forse ingenuamente felice di averne ancora uno, per tornare a raccontare. Al dunque mi considerava un poeta troppo in chiaro per i suoi gusti»
Una delle ultime volte che il fantasma di Amelia gli fa visita è in occasione dei funerali di Valentino Parlato, tra i fondatori de il Manifesto di cui è stato in tempi diversi direttore. Questo breve capitolo, intitolato Gli amorastri, ricorda un film documentario di Nanni Moretti, La Cosa. C’erano in quel film tutti gli elementi per comprendere la fine di un mondo che aveva appassionato e coinvolto molti. Ci sono in questo capitolo tutti gli elementi per comprendere la fine della sinistra comunista in Italia, il suo non ri-conoscersi e la frammentazione politica che viviamo anche e soprattutto oggi.
«Da quando ho cominciato a scrivere, l’ombra di Amelia Rosselli, come sapete, è venuta più volte a ballare nella mia immaginazione […] Questa non è una biografia di Amelia, è piuttosto la rievocazione della sua persona, e al tempo stesso il tentativo di allontanare la sua ombra».
Con questa rievocazione Paris ci apre le porte di uno dei suoi scrigni più preziosi, lo scrigno che contiene i ricordi legati a poeti, intellettuali, artisti, che sono essi stessi la storia culturale del nostro Paese e io, come lui, ho le vertigini quando finisco di leggere questo libro.
«Capita a tutti gli scrittori di avere vertigini, alla fine di un libro, che sarà mai? Nel frattempo è come se dovessi riempire piano piano il mio dentro che somiglia alla pancia sgonfia e vuota della partoriente».
Si ho le vertigini. Sono dispiaciuto che sia finito. Che sia già finito. E allora ricomincio e leggo ad alta voce, solo nel mio studio, proprio come ha fatto Renzo Paris «il più nel ritratto che fece di Miss Rosselli Sandra Petrignani: “Arrivò aureolata di una bellezza diafana, di un modo d’incedere principesco, di una stravaganza sfuggente e ridanciana, Sì, raccontava fatti tragici, eppure rideva dello sgomento che suscitava. Raccontava di sé senza reticenze, con la sincerità incandescente che hanno i poeti puri. La voce era indimenticabile, arrotolata attorno alla erre, legnosa, oracolare, con un leggero accento inglese che aumentava la distanza fra la sua persona, fatta sicuramente della pasta degli angeli, e le cose terrene».
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