Ragazzi che tornano all’alba dalla spiaggia.
Festa tutta la notte. Chitarre, birra e falò di Ferragosto.
Li guardo con nostalgia anche se alla loro età rifiutavo sdegnato ogni invito.
Mi manca, in effetti, tutto quello che non ho mai voluto fare.
Sarà questo il mio epitaffio.
Torno a casa dopo la corsa mattutina (esatto) e accendo nella mente il mio falò di Ferragosto.
Ci butto dentro tutte le brutte facce di quest’anno: i sogni perduti, le persone che cambiano, solita storia, questo cane rognoso che ti mangia da dentro ad ogni alba, giorni senza amore che seccano la bocca, due milioni di ansie, il tempo scaduto, un filo di pioggia, l’eterno abbandono che ha sempre le sue ragioni ma si presenta ogni volta con l’identica smorfia rancida, e il desiderio di un camino per l’inverno, che mi placa e fa felice, ché io ho bisogno di poco: fissare il fuoco, guardarlo per ore, stare in pace, soffiarci sotto, sentirmi bene, bruciarvi un po’ dentro.