Domenica 5 maggio, 4 anni ed un mese dopo il terremoto, gli storici dell’arte, con il sostegno di Italia Nostra, si sono dati appuntamento a L’Aquila per discutere della (non) ricostruzione della città abruzzese.
Dopo una passeggiata per il centro storico, nel pomeriggio alcune centinaia di persone – tra cui il Ministro dei Beni Culturali ed Ambientali, Massimo Bray – hanno affollato la Chiesa San Giuseppe Artigiano nel cuore della città per ascoltare una serie di interventi aperti da Tomaso Montanari e chiusi da Salvatore Settis.
Vedere, a distanza di più di quattro anni, le strade del centro ancora abbandonate, prive di quel tessuto sociale che costituisce l’essenza di una città, con i palazzi distrutti o puntellati, avvolti in una rete infinita di impalcature come se il tempo si fosse fermato, è stata la conferma del fallimento della gestione post-emergenziale.
Una situazione insostenibile che ha portato il giorno dopo il sindaco Massimo Cialente a restituire la fascia tricolore e far togliere la bandiera italiana da tutti gli edifici comunali, denunciando i ritardi della “burocrazia romana” che, a suo dire, hanno bloccato gli aiuti promessi dallo Stato, rendendo impossibile fino ad oggi la ricostruzione della città dopo il terremoto del 6 aprile 2009.
Le scelte del post-terremoto, a volte imposte, ma a volte anche accettate dai più, hanno di fatto creato le condizioni per fare di L’Aquila una non-città: ad un centro storico ancora distrutto si contrappone un territorio circostante invaso da surreali new town occupate dai nuclei del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) o dai M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori).
Una infinita periferia, nata al di fuori di qualsiasi pianificazione urbanistica e paesaggistica, priva di vita e servizi, difficile da gestire e con enormi costi dal punto di vista del consumo di territorio e della dispersione sociale.
Il rischio reale è che L’Aquila resti per decenni in questa situazione indefinita creando un’intera generazione di aquilani che non hanno avuto nulla a che fare con la vita della loro città.
Come recita il documento finale della giornata, è necessario che il restauro del centro monumentale di L’Aquila, da intendersi come bene culturale unico ed indivisibile da proteggere, diventi la prima urgenza della politica nazionale del patrimonio culturale.
Si deve respingere ogni tentativo di trasformare L’Aquila in una sorta di Aquiland, una specie di parco a tema per turisti, facendo smarrire definitivamente il suo essere città. E non si possono aspettare 20 anni prima di consentire agli aquilani di tornare nelle loro case: attraverso una politica di incentivi si deve fare in modo che il restauro del centro sia accompagnato dal ritorno degli abitanti affinché il centro torni progressivamente a vivere.