Se la Riforma della scuola è riuscita a creare momenti di dialogo tra istituti e imprese è già un grande risultato e credo sia un errore pensare al sistema produttivo e a quello scolastico come a due mondi a parte. In realtà, sono strettamente connessi perché l’istruzione e la formazione di oggi contribuiranno a costruire il lavoratore di domani. E’ chiaro che più l’istruzione e la formazione sono di qualità, più il sistema produttivo (e di conseguenza il nostro territorio) ne trarrà beneficio per la crescita economica e sociale. Se guardiamo ad altri paesi, ci rendiamo conto di come scuole e imprese rappresentino un’unica entità capace di scambi e relazioni e in grado di progettare insieme il futuro. In Italia, invece, al di là di pochi casi di eccellenza, questa interazione non è ancora decollata. Questo aspetto della riforma, dunque, punta a sanare un gap che non è più sopportabile in termini di crescita e sviluppo per le nostre comunità, anche in base alle esigenze produttive legate a mercati sempre più globalizzati e che richiedono una forte competitività in termini di risorse umane e creatività.
Compito della scuola è sì educare le nuove generazioni a essere dei buoni cittadini, ma anche rendere gli stessi cittadini capaci e autonomi nella ricerca di una occupazione, il più possibile stabile e meritata. D’altro canto, le imprese necessitano di lavoratori sempre più specializzati e in grado di affrontare le nuove sfide di questo millennio. E allora come procedere? Intanto confrontandoci, mettendo sul tavolo le esigenze di entrambi: scuola e imprese. Non illudiamoci: le difficoltà ci saranno. Ogni riforma e ogni cambiamento ha bisogno di tempo per mostrare risultati accettabili. Questo nuovo approccio, molto più strutturato rispetto al passato, è solo l’inizio di un processo che porterà, nel tempo, le nostre comunità scolastiche a essere parte attiva del mondo produttivo, dove i nostri neo laureati non vivranno più la situazione paradossale di presentarsi ai primi colloqui di lavoro senza aver mai avuto l’idea di cosa significhi stare in azienda o collaborare con una istituzione, un ente, un’associazione o una fondazione. Credo sia anche arrivato il momento, per le nostre imprese, di comprendere che investire nella scuola significhi investire nelle risorse umane di domani.
Quelle che possono poi fare la differenza nella società e anche nel mondo produttivo. I paesi più furbi, sono quelli che formano i loro studenti e fanno in modo di tenerseli e non quelli che li formano e poi se li lasciano scappare. La Riforma della scuola, nel capitolo Alternanza Scuola – Lavoro prevede: almeno 400 ore nell’ultimo triennio dei tecnici e dei professionali e 200 in quello dei licei e per raggiungere questo obiettivo, il governo stanzierà 100 milioni l’anno. A regime, saranno circa 1 milione e mezzo gli studenti coinvolti. L’attività si farà in azienda, ma anche in enti pubblici, musei e si potrà svolgere anche d’estate e all’estero. Il Miur predisporrà una Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza. I ragazzi potranno esprimere una valutazione sull’efficacia dei percorsi effettuati. Sarà istituito un Registro nazionale in cui saranno raccolti enti e imprese disponibili a svolgere i percorsi. Per rendere coerente la formazione con l’orientamento al futuro, una parte dei fondi che lo Stato stanzia per gli Istituti tecnici superiori, sarà legata (per il 30%) agli esiti dei diplomati nel mondo del lavoro. Credo siano stati avviati i primi passi di un importante processo di cambiamento. Il resto dovrà essere costruito mattone dopo mattone dal mondo produttivo e da quello scolastico.
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