Come siamo bravi a piangerci addosso. A imbastire sterili processi, a drammatizzare, ad ingrandire errori, a cercare colpevoli.
Noi italiani, nel calcio, abbiamo il culto della disfatta. Riuscendo a irrobustire una sconfitta, con le dimissioni di un allenatore.
E’ come se un generale si uccidesse dopo una guerra persa, facendo piombare la nazione nel caos.
Diamo ordine ai fatti.
Italia Costarica. Brasile, ore 13.
Scendere in campo per giocare a pallone, darebbe ad un giudice zelante, gli estremi per agire d’ufficio contro la Fifa.
Ventidue uomini non possono essere costretti a fare sforzi, in condizioni climatiche che mettono in difficoltà la salute. Nel minimo della causa, depotenziano le capacità atletiche al lumicino.
L’Italia gioca. Ma gioca contro una squadra caraibica. Con individui abituati a quei climi impossibili. Geneticamente strutturati a vivere in essi.
Se quella partita si fosse disputata in Germania, con 3 gradi, il Costarica avrebbe subito il confronto tecnico, con una squadra di tutt’altra caratura.
Italia Uruguay.
Questa volta niente caraibici, ma una squadra sufficiente, con solo due spiccate individualità. La partita sarebbe finita con un pareggio. Gli uruguagi, nonostante fossero costretti a vincere, non avevano potenzialità per proporre il loro gioco. Così facevano scivolare importanti minuti, che li avrebbero portati all’eliminazione. Inermi.
Poi, l’arbitro, senza motivo, espelle un giocatore dell’Italia.
Con superiorità numerica avversaria, il pareggio sembrava garantito lo stesso. Ma l’Uruguay, prende coraggio, inizia ad imbastire gioco d’attacco. E trova il goal su palla inattiva.
Non si recupera in dieci. La partita finisce. Il generale fugge. In televisone iniziano i processi. La sconfitta appare disfatta.
Se fosse stata qualificazione, tutti a festeggiare in piazza.
Questo è un mondiale mediocre, perché giocato dagli europei in condizioni di clima sfavorevoli. E perché il calcio internazionale, ha una penuria di campioni.
Basta dunque con i drammi e con i processi, dove sono cancellati dati che con il calcio non hanno attinenza, ma ne determinano il risultato.
Sicuramente non eravamo una squadra di talenti. Ma a giudicare dalle altre vittime illustri del Vecchio Continente (Spagna Inghilterra Portogallo e la Russia, abituata al sottozero), c’è da riflettere sull’opportunità di svolgere tornei in nazioni climaticamente non adatte.
Chi ha giocato grandi partite scagli la prima pietra. Poche.
Nel calcio, la natura degli italiani è una. Da Nord a Sud. La sindrome di Caporetto.
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