Ponte Milvio, Roma: domenica 2 febbraio 2014 ore 12.00
Una pioggia incessante mi accompagna fino a Ponte Milvio dove il biondo Tevere appare come uno di quei fiumi del nord Europa: immenso. La sua larghezza, ad occhio, è tripla rispetto al normale. L’acqua che scorre sotto le arcate sembra sfiori i piedi dei passanti curiosi.
Intorno il caos: sulle strade corre acqua. Le automobili la distribuiscono sui passanti ormai impossibilitati a proteggersi. Sono zuppa, ovunque, anche i piedi.
Decido di chiamare un taxi. Dopo minuti interminabili di musichetta al telefono, finalmente mi rispondono. Fornisco la mia posizione e mi mettono in attesa. Dieci minuti ancora e, finalmente, «Roma 45 (il numero è di fantasia) tra cinque minuti». Intanto è scesa anche la nebbia o qualcosa che le assomiglia molto.
Vedo arrivare il taxi bianco, faccio segno al conducente, mi avvicino: «Roma45?». «Prego signora si accomodi». Distrattamente indico la mia destinazione e il conducente mi chiede «Preferisce che io percorra la tangenziale o che passi per Villa Borghese?».
Solo a quel punto mi rendo conto che la voce è femminile, una voce gentile, calma e professionale. «Tangenziale, credo sia meglio». «L’ho appena percorsa in senso inverso e c’erano rallentamenti sotto la galleria, credo dovuti a smottamenti , ma dall’altra parte il traffico è normale».
Stupita di tanta attenzione la guardo, assieme al suo “tassì”. E’ una ragazza molto giovane, carina: lunghi capelli ordinati, truccata delicatamente, garbata, affatto affettata e molto attenta alla guida. Il suo tassì ha un buon odore, non quello dei deodoranti al pino silvestre, non un odore di nuovo, non un odore artificiale, semplicemente un buon odore: fresco, naturale. La temperatura è quella giusta. Tutto è ordinato. Una musica soffusa e nessun altro rumore. Tanto che non riesco a capire come sia collegata con il centro radio, forse ha un auricolare wifi, non so. E’ un tassì femmina.
Le chiedo qualcosa del lavoro. «Non sono molte le donne-tassiste qui a Roma, circa 300 e della mia età solo una decina». Mi spiega che ha pagato la sua licenza 150.000 Euro, è molto perplessa sulle privatizzazioni e mi spiega con competenza le sue idee.
Arriva poi alle difficoltà. Mi dice dell’esistenza di “mafiette” e capisco che quel vezzeggiativo nasconde ben altro. In alcune zone a Roma, aeroporti, stazioni ferroviarie eccetera, dove le corse dei taxi sono più richieste, lei non può andare. E’ stata minacciata. Confessa che la situazione è nota, è stata denunciata ma nessuno fa niente, esistono tutta una serie di connivenze.
«Ho deciso di non insistere con quelli là, anche se li ho denunciati. Ad un uomo per ritorsione possono arrivare a “rigargli la macchina”, a “bucare le gomme”, a “rompere il parabrezza”. Per noi donne è diverso. La minaccia non è contro l’automobile con la quale lavori, è personale. Corporale direi».
Le si spezza la voce. Abbiamo capito tutti di cosa si tratta e sotto quella pioggia incessante, è ancora più atroce.
Arrivata a destinazione la saluto con un banale “Buona domenica”, lei si sporge dal finestrino e mi sussurra «Buona vita!».
Ho pensato a lei tutto il giorno.
Non so il suo nome, non so nulla di lei. Ma è come se sapessi tutto: l’ho dedotto dal suo tassì. Con tristezza mi sono trovata a pensare che ogni volta che si incontra una donna che per motivi diversi “dà fastidio”, c’è sempre un uomo (non generalizzo, ma c’è sempre), che la terrorizza con allusioni sessuali.
Io sto dalla parte delle donne che danno fastidio.
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