#labuonascuola è una delle priorità del Governo Renzi. Incidere sulla Scuola, significa incidere sul futuro del paese. Questo è chiaro. La materia è delicata e la responsabilità, per chi ci governa, è di procedere senza commettere errori. Intanto cerchiamo di capire quali sono le criticità che riguardano la Scuola italiana.
The Economist Intelligence Unit e la casa editrice Pearson hanno messo a confronto i sistemi educativi di 40 paesi, a partire da circa 60 parametri. L’Italia è nella fascia media, dopo Germania e Regno Unito. Al primo posto figurano i sistemi scolastici di Finlandia (dove l’approccio con gli studenti è più flessibile e creativo) e la Corea del Sud (dove si punta molto sulla quantità dell’apprendimento e della didattica). La Scuola italiana, quindi, non è certo da buttare. Uno dei punti deboli, però, (sottolineato anche dalla stessa ricerca) riguarda l’innovazione. La Scuola oggi non è in grado di preparare gli alunni ad affrontare un mondo del lavoro che è totalmente cambiato e “la maggior parte dei lavori di oggi non esistevano 20 anni fa”. In Corea del Sud, i docenti fanno corsi di aggiornamento informatico da almeno 20 anni. Tutti i libri di testo delle elementari sono già digitali. In Italia siamo profondamente indietro, sia dal punto di vista dell’uso della tecnologia digitale (a cui buona parte dei docenti guarda ancora con diffidenza), sia nell’applicazione di programmi e materie che siano in grado di formare gli alunni a diventare cittadini di un mondo che è sempre più globalizzato e digitalizzato.
Ma l’Ocse ha bacchettato l’Italia anche per la spesa destinata all’istruzione che è “scesa ben al di sotto della media” (8,6% rispetto alla media Ocse del 12,9%). L’analisi ha riguardato 37 paesi in tutto il mondo e l’Italia è in coda. E se una nazione spende meno delle altre per la Scuola, il primo passo per migliorare il settore, dovrebbe essere proprio quello di investire di più. Ma veniamo ora alla riforma conosciuta come #Labuonascuola contenuta nel Disegno di Legge varato lo scorso 12 marzo dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Le linee guida principali riguardano questi punti:
AUTONOMIA SCOLASTICA – Più strumenti ai presidi per gestire risorse umane, tecnologiche e finanziarie attraverso Piani dell’offerta formativa della durata triennale. I presidi possono assegnare un bonus al 5% dei docenti per valorizzare le eccellenze interne
PRESIDE MANAGER – I dirigenti scolastici potranno scegliere la loro squadra di docenti per l’attuazione dei Piani dell’offerta formativa da appositi albi territoriali. (Uno dei punti più contestati dagli stessi docenti e sindacati, dopo quello sui tagli agli scatti di anzianità. Provvedimento poi ritirato).
NUOVE ASSUNZIONI – Via libera a un Piano straordinario di assunzioni per il 2015/2016 per coprire le cattedre vacanti e creare l’organico dell’autonomia. Dopo si assumerà solo per concorso.
PIU COMPETENZE – Nelle lingue: l’italiano per gli studenti stranieri e l’inglese per tutti. Si punta a potenziare anche Arte, Musica, Diritto, Economia e Discipline motorie. Particolare attenzione sarà dato al concetto di Scuola digitale, con la formazione mirata su materie informatiche, comunicazione digitale e nuove tecnologie.
SCUOLA E LAVORO – Stabilito un fondo per l’innovazione didattica e la creazione di laboratori territoriali, aperti anche di pomeriggio, per orientare i giovani al lavoro. Quattrocento ore di formazione negli Istituti tecnici e 200 nei licei destinati agli studenti per l’orientamento lavorativo.
AGGIORNAMENTO DOCENTI – Una Card da 500 euro per l’aggiornamento e la formazione dei docenti: per l’acquisto di libri, testi, strumenti digitali, iscrizione a corsi, ingresso a mostre ed eventi culturali. La formazione in servizio diventa obbligatoria.
IL PORTALE DELLA SCUOLA – Saranno pubblicati on line i bilanci delle scuole, Anagrafe dell’edilizia, Piani dell’offerta formativa, dati dell’Osservatorio tecnologico, curricula degli insegnanti, incarichi di docenza.
5 PER MILLE E SCUOLE INNOVATIVE – Il 5 per mille potrà essere destinato anche alle scuole. Con lo school bonus, chi farà donazioni a favore delle scuole per la costruzione di nuovi edifici, per la manutenzione, per la promozione di progetti dedicati all’occupabilità degli studenti, avrà un beneficio fiscale (credito di imposta al 65%) in sede di dichiarazione dei redditi. Il Disegno di Legge prevede anche un bando per la costruzione di scuole altamente innovative.
Questo il contenuto della riforma. In termini generali, molti punti risultano sicuramente positivi. Ma è nei dettagli di alcuni di questi che si è scatenata una vera e propria guerra tra docenti, personale della scuola, sindacati e governo Renzi, sfociata nello Sciopero generale del settore fissato per il 5 maggio. “Il Governo non è mai stato così lontano dalle esigenze della scuola – dicono i sindacati – e così lontano da quello che i lavoratori chiedono. E’ chiaro – hanno affermato in piazza i segretari generali di Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda – che questo Disegno di Legge non piace a nessuno”. I manifesti dei sindacati sintetizzano i motivi dello scontro.
Al primo punto c’è la questione legata alla stabilizzazione di tutti i precari. La Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia sull’abuso dei contratti a termine nella Scuola. Il Governo Renzi non è intenzionato a sanare la questione: i numeri delle assunzioni sono insufficienti rispetto alla reale disponibilità di cattedre.
Altra questione: il Contratto dei docenti è fermo da 7 anni e non si può parlare di ridare dignità ai docenti se non si parte anche dall’aspetto economico della professione. Sempre secondo i dati Ocse, gli insegnanti italiani sono i meno pagati d’Europa: 10 mila euro sotto la media europea. Ma qual è la motivazione? Perché lavorano forse meno dei loro colleghi europei? No, solo perché l’Italia, come abbiamo detto prima, è agli ultimi posti in Europa in quanto a investimenti sull’Istruzione.
La media degli orari di lezione settimanali dei docenti europei si attesta a 23 ore nella primaria, a 20 ore nella secondaria inferiore e a 18 ore e 20 minuti nella secondaria superiore. Gli orari di lezione italiani, quindi, si discostano di poco da quelli europei con 22 nella primaria, 18 nelle medie e altrettante nelle superiori. Ma va precisato che l’ora di lezione in Germania è di 45 minuti. Calcolando, quindi, quelle effettive di lavoro: risulta che i docenti italiani insegnano 18 ore di 60 min, mentre i docenti tedeschi poco più di 16 ore di 60 min. Ecco sfatato il mito che i docenti italiani insegnano meno ore degli altri europei. Ma si tratta di orari di lezione “frontali” dedicati alla didattica, poi ci sono le ore di lavoro prestato che il docente deve usare per la preparazione delle lezioni, per la correzione dei compiti, per l’organizzazione di eventi e prove esecutive (Docenti di strumento musicale), per i consigli di classe, collegi e ora per la formazione obbligatoria prevista dalla Buona scuola. Si tratta di diverse ore in più a settimana a cui non si fa mai riferimento quando si parla del lavoro dei docenti e che, tra l’altro, non sono retribuite. I giorni di insegnamento tra i vari paesi europei sono esattamente gli stessi e i periodi di vacanze cambiano a seconda del clima del paese di riferimento.
Ma tornando alla riforma de La Buona Scuola. I docenti contestano anche le norme sulle retribuzioni e quelle sulla mobilità del personale. Questioni che devono essere stabilite dal contratto e non da un disegno di legge del governo di turno. La buona scuola prevede gli albi territoriali dove i dirigenti scolastici potranno assumere in base ai curriculum. Varrà per i nuovi assunti e per i docenti già di ruolo che chiederanno il trasferimento o per i cosiddetti “perdenti posto”. C’è il rischio concreto che la scelta dei presidi per l’assunzione del personale docente ricada su “amicizie” e “segnalazioni”. E’ un rischio concreto. Questa norma, inoltre, stravolge il principio che è il docente a scegliere la destinazione scolastica in base a carriera e punteggi.
Allo sciopero generale si è arrivati dopo l’interruzione del confronto tra sindacati e governo. L’iter parlamentare, intanto, prosegue. Ma i lavori sono viziati da una grande bugia: quella che #Labuonascuola sia una riforma partita dal basso, dal confronto con i docenti. La verità è che in Italia non c’è una singola scuola che abbia espresso parere positivo su questa riforma. Eppure, secondo Renzi, questa è la strada da percorrere per ridare dignità alla professione dei docenti e per cambiare il paese. Personalmente sono favorevole alla valutazione del merito, alla formazione obbligatoria, alla scuola digitale, al potenziamento di alcune materie, ma sono contrario al nuovo ruolo dei presidi perché accrescerà notevolmente il clientelismo in questo settore (è inutile essere ipocriti su questo argomento) e alla creazione degli albi territoriali perché si basano, oltre che sulla chiamata diretta, anche su incarichi triennali. Occorre dare ai docenti i giusti strumenti per mettersi al passo con i tempi, ma anche la giusta retribuzione. Non basta aver ripristinato gli scatti di anzianità e non basta aver previsto il bonus per il 5% delle eccellenze interne.
Bisogna premiare i docenti che lavorano e che portano avanti progetti di valorizzazione della scuola e del territorio (oltre ad occuparsi della didattica) con forme economiche aggiuntive, premi, rimborsi, (come scaricare le spese di carburante per i lunghi tragitti), extra. Agevolare anche forme di telelavoro grazie alle nuove tecnologie. Bisogna individuare altre forme di carriera interne alla scuola che non si riducano alle sole figure di appoggio dei presidi. Un pregio #Labuonascuola e il governo Renzi ce l’hanno: aver riportato questi temi al centro dell’interesse nazionale. Senza confronto però, #Labuonascuola resterà solo una delle tante riforme di settore messe in campo dal governo di turno, per poi essere cambiata dal prossimo. Per diventare la “riforma definitiva”, quella della “Vera scuola”, (ciò che contrappongono i sindacati e i docenti al Disegno di Legge) invece, avrebbe bisogno di quelle modifiche al Disegno di legge che, non solo i sindacati, ma anche tutto il personale della scuola continuano a chiedere da mesi, senza però essere ascoltati. Il 5 maggio, comunque, giorno dello sciopero generale, si aprirà un nuovo capitolo.