“Da molti anni ci sono una pluralità di studi epidemiologici che attestano l’assoluta dannosità per la salute umana di impianti come i cementifici e gli inceneritori, a causa del processo di combustione dei rifiuti che libera in atmosfera sostanze cancerogene pericolosissime. Eppure, nonostante l’ampia letteratura scientifica – che, paradossalmente, sembra sia in Italia meno autorevole e considerata delle discutibili evidenze tecniche prodotte dalle aziende inquinatrici – il nostro Paese è, tra cementifici e inceneritori attivi, ai primi posti nel mondo per questa pratica”.
Davanti agli allievi dell’ultima lezione del corso di cooperazione promosso nella Facoltà di Ingegneria dalla sezione di Bari di Ingegneria Senza Frontiere (Isf) dedicata alla gestione dei rifiuti, invitati a riscoprire il proprio codice deontologico per le norme ecologiche che contiene, il referente pugliese dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente Agostino Di Ciaula, supportato da una densa bibliografia e fortificato nell’esposizione delle sue tesi da una notevole quantità di dati, disvela gli inganni di un Paese che poco o nulla sta facendo per salvaguardare il diritto costituzionale della salute dei propri concittadini.
Compromettendo, in modo particolare, quello delle più giovani e prossime generazioni, perché “la combustione – ha spiegato Di Ciaula – produce nanoparticelle microscopiche che, una volta in atmosfera, possono viaggiare anche per molti chilometri e se inalate accidentalmente possono favorire l’insorgenza di tumori o mutazioni genetiche”. L’inquinamento ambientale, in questo modo, diventa inquinamento sociale. E avvelenamento morale. Viene contaminata l’identità di una comunità e di un territorio. Viene bruciata la possibilità di costruire un’alternativa sostenibile. “Una tonnellata di rifiuti – ha proseguito, pertanto, il referente dell’Isde – dopo il trattamento negli inceneritori o nei cementifici (una novantina circa sono in totale gli impianti attualmente attivi in Italia, nda) produce tre quintali di ceneri: ossia passiamo da un rifiuto ordinario a un rifiuto speciale o pericoloso, bisognoso nel caso di una propria discarica e con un cemento prodotto certamente meno resistente e performante”.
E dalla fotografia scattata, la Puglia non ne esce bene. La regione oggi governata da Michele Emiliano, infatti, col quasi 26% di raccolta differenziata è quart’ultima in Italia, essendo, invece, tra le prime, dal 2010, per produzione di Cdr realizzato in architetture industriali quasi unicamente gestite dalla CoGeAm. Confermando che in Puglia esiste, ed è fortissima, “la dittatura economica delle discariche”, nelle quali, del resto, secondo i dati Ispra del 2014, sono stati conferiti quasi 2 milioni di tonnellate di rifiuti. Una quantità mostruosa – segnalata con preoccupazione anche da Legambiente che pochi giorni fa ha presentato in tutto il Paese il suo annuale rapporto Ricicloni – che documenta lo strapotere dell’economia lineare su quella circolare.
“Un modello, quest’ultimo – ha sostenuto l’altro ospite dell’iniziativa di formazione, l’esperto in materia di rifiuti Raphael Rossi – nel quale i nostri scarti sono concepiti come errori di progettazione e le materie grandi risorse da riciclare e da riusare. Quel che conta, infatti, non è solo o prioritariamente la percentuale di raccolta differenziata, ma la percentuale di riduzione di rifiuti procapite per anno”.
Una visione virtuosa, costruita gradualmente sulla base delle specificità territoriali e supportata da una adeguata campagna di comunicazione, tuttavia, non può escludere la tariffazione puntuale e l’attivazione strategica di politiche e di pratiche orientate alla prevenzione, al monitoraggio e alla sanzione nell’idea di responsabilizzazione della cittadinanza. Solo da questa conversione ecologica integrale, del resto, le città possono diventare quei “beni comuni” a misura dei sogni di tutti coloro che le vivono.
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