Nella sua piccola rubrica “l’Amaca”, di qualche giorno fa Michele Serra, ha posto l’accento sulla “medianicità della politica”, sul suo essere solo “comunicazione e show”: dal predellino di Berlusconi alla mano in tasca di Renzi, la moda ormai è quella di osservare le curiose diversità dei gesti di coloro che si ergono a salvatori della Patria.
Dopo il disastroso ventennio della seconda Repubblica, durante il quale abbiamo atteso inutilmente l’avverarsi dell’opera del “salvatore” della Patria, realizzatore dei sogni più reconditi dell’italiano medio: meno tasse, più soldi, più libertà di poter fare ciò che si vuole, in una sola parola più democrazia.
Dopo che tutto questo è ritornato nel nulla da dove era partito ed ha mostrato il suo vero volto, quello di essere né più, né meno che uno slogan pubblicitario pagato ad un prezzo carissimo sulle spalle di milioni di italiani illusi.
Dopo che, more solito, si è tentato di additare la colpa di questo disastroso fallimento all’Euro, alla crisi economica, ad una mancata riforma della giustizia e della Costituzione.
Dopo tutto ciò, in questa ulteriore fase di passaggio dalla seconda alla terza Repubblica, l’Italia è ancora alla disperata ricerca di “salvatori”. Così “re Giorgio I” si è sentito in dovere di interpretare questo anelito di “redenzione” e con la solita manfrina del “bisogno di stabilità”, ha “unto” prima Monti, poi Letta ed adesso Renzi.
Certo non intendo soffermarmi sul fatto, pure importante, che tutti questi premier non sono passati attraverso il legittimo consenso elettorale, cosa che è stata ampiamente ribadita da più parti. Bensì semplicemente ricordare quello che già Machiavelli nella sua opera più famosa, Il Principe, annotava al cap. 18: «Gli uomini, in generale, giudicano più con gli occhi che con le mani, perché tutti vedono e pochi toccano con mano. Tutti vedono quello che tu sembri, ma pochi toccano con mano quel che tu sei, e questi pochi non osano opporsi all’opinione dei molti, che oltre tutto sono protetti dall’autorità dello Stato. Nel giudicare le azioni degli uomini, e soprattutto dei principi che non possono essere convocati in giudizio non si guarda ai mezzi, ma al fine. Il principe faccia quel che occorre per vincere e conservare il potere. I mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e lodati da ognuno, perché il volgo bada sempre alle apparenze e al risultato».
Già, “bisogna fare quel che occorre per conservare il potere”. Detto fatto! Eccolo il premier Renzi da subito alle prese con la prima bagarre scatenata da una telefonata tra lo stampatore e l’editore di un piccolo Quotidiano. Così tra “cinghiali feriti”, smentite, querele e dimissioni che hanno – a detta dei soliti difensori dell’indifendibile – quel non so che di eroico, passa il primo imprevisto governativo di Renzi con la parola d’ordine: «rispettiamo e apprezziamo la scelta del nuovo centrodestra». Per il resto «si fa finta di niente».
È chiaro che Renzi avrebbe fatto volentieri a meno di questa pantomima con il finale già scritto: il trio Alfano, Schifani e Quagliariello che difendono il sottosegretario e poi ne regalano la testa, dicendo anche «non chiediamo nessuno al su posto». Sembrerebbe che anche il premier non abbia intenzione di sostituirlo, decisione che non si comprende, forse perché appartiene a quelle che tempo fa ho definito “le stravaganze della politica”.
Comunque, se non ci fosse stato il “caso Gentile”, tutto sarebbe filato liscio: solita spartizione delle poltrone dove le competenze lasciano volentieri lo spazio alle appartenenze … Dinanzi a questo non certo confortante quadro della politica italiana, la domanda che in tanti si pongono e mi pongono: e in Calabria che fine faremo? Come andrà a finire questa ulteriore – e forse ultima – occasione prima del definitivo baratro, delle ormai prossime elezioni regionali?
Non so cosa me l’abbia suggerita – forse perché da buon calabrese ogni tanto vengo influenzato da spinte utopiche campanelliane – ma un’idea ce l’avrei. La dico così come l’avverto: e se provassimo ameno per una volta in Calabria ad uscire dalla solita logica partitica con la conseguente spartizione delle poltrone ad “intra e ad extra” della compagine elettorale? Come? Beh proviamo almeno per una volta a sollecitare che si mettano insieme le migliori esperienze amministrative della nostra Regione: sindaci, amministratori provinciali, consiglieri regionali, uomini e donne con spiccata competenza ed esperienza nel vasto e variegato mondo dell’impegno sociale, del terzo settore, del mondo sindacale e perché no anche universitario (che non siano dei semplici tecnici) al di là ed al di sopra delle appartenenze politiche che, mi sia consentito in questa fase così drammatica per la nostra terra vengono molto dopo.
Credo, altresì, che la Calabria non abbia bisogno di “capi-popolo” e/o di “redentori” di questo martoriato angolo di mondo. È ora di dire basta all’improvvisazione in politica, alle candidature imposte dalle logiche dei partiti anche in considerazione del fatto che questi debbono essere radicalmente riformati.
Prima della riforma istituzionale, a mio sommesso avviso, occorre al più presto riformare i partiti. Francamente, da cittadino di questa Terra, auspico che almeno questo primo incontro e confronto, per lodevole e coraggiosa iniziativa di qualcuno possa accadere.
Potrà sembrare l’analisi di uno che vuole ergersi a politologo. Non lo è. Più semplicemente è la riflessione a voce alta di un “povero prete” che quotidianamente è alle prese con i problemi delle tante persone che bussano alla sua porta: famiglie sempre più impoverite, giovani disoccupati, immigrati senza casa e senza lavoro, sanità disastrosa, anziani in attesa di pensione e molto altro.
Ma la domanda che ora mi pongo è la seguente: in Calabria esistono ancora politici coraggiosi capaci di prendere tali iniziative?