II Mezzogiorno raccontato da Pino Aprile nel suo ultimo libro, “Il Sud Puzza, Storia di vergogna e di orgoglio” (edizioni Piemme) descrive un altro Mezzogiorno.
Un racconto dove non ci sono, fra i protagonisti del “risveglio” meridionale, politici e istituzioni, la cosiddetta classe dirigente ufficiale, quella che si trova sulle pagine dei giornali. Non c’è un solo leader di partito ad essere protagonista di quella possibile svolta che si intravede fra i miasmi delle discariche, nella tenaglia oppressiva della criminalità, in quel no gridato in piazza contro i ricatti dell’estorsione.
Ci sono invece le reti, gli hub, i cluster, in una parola la ragnatela di associazioni, comitati, movimenti, di uomini e donne che vogliono ricreare quella comunità che a oltre 150 anni dall’Unificazione (fallita) del Paese si è andata progressivamente perduta a causa soprattutto (è la tesi che Aprile ha sostenuto fin dal suo best-seller, Terroni) della sudditanza culturale, prima ancora che politica ed economica, del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. “Il Sud puzza, puzza da morire di cancro, di leucemia, di polmoni, di malattie genetiche. Puzza un po’ dovunque…”. Eppure, i meridionali “non si sono svegliati perchè hanno sentito la puzza – scrive il giornalista-scrittore – ma si sono accorti della puzza perchè si sono svegliati; per questo non la sopportano più”.
Pino Aprile, tarantino di nascita, li scopre anche nella sua città, alle prese con il disastro dell’Ilva. Abitava proprio di fronte allo stabilimento, una convivenza impossibile. Ma, fino a qualche anno fa, chi parlava dei veleni della fabbrica era praticamente un fantasma, ignorato e guardato con sospetto. Poi il movimento è cresciuto, la gente è scesa in piazza per denunciare i tanti,troppi, morti per tumore e la magistratura ha fatto il resto. E’ lo stesso risveglio che ha portato a Napoli centomila persone a protestare contro il “biocidio” della Terra dei Fuochi, il sistematico avvelenamento di una delle aree più fertili del Paese commissionato da imprenditori senza scrupoli (soprattutto del Centro-Nord) ed eseguito dalla Camorra, nel silenzio assordante delle istituzioni.
Ma il taccuino di Aprile si spinge fino ad Ercolano, alle porte di Napoli, dove dalla denuncia di una donna è partito il movimento anti-pizzo contro i clan che governavano l’intera città, imponendo le proprie tasse, entra nei vialoni di Scampia, dove il tradizionale Carnevale, anno dopo anno, diventa sempre più affollato, sfida i protagonisti delle faide sanguinarie, invita i cittadini ad uscire dalle case, ad abbattere le Vele della vergogna, a trovare un nuovo senso della comunità laddove c’era solo un deserto sociale fatto di violenza e omicidi, senza lo Stato. Sono storie di mamme coraggiose, di giovani che ad un certo punto hanno intravisto che una realtà diversa era possibile, di associazioni nate come funghi e cresciute grazie alla rete.
Ma il lavoro di Pino Aprile ha anche un altro pregio: ci fa capire che, tassello dopo tassello, quello che sembra solo un insieme di frammenti o di macchie di colore si ricompone, guardandolo a maggiore distanza, come se fosse un quadro degli impressionisti, in un disegno completamente diverso e per tanti aspetti inedito del Sud. Abituati a sentirne parlare solo come della terra di Gomorra, si scopre invece che in quell’inferno gli”angeli” si stanno moltiplicando. Aprile li chiama “Cancioli”, una nuova parola che, nel dizionario del nuovo (o antico) Mezzogiorno sta per “creatori di comunità”.
E’ presto per dire se il ”risveglio” dalla puzza che soffoca il Sud si trasformerà in un vero e proprio riscatto. Non dimentichiamo che la questione meridionale, in Italia, è la più vasta ma anche la più antica di tutta l’Europa, anche di quella a 27 paesi. Bisogna solo vedere se il risveglio raccontato da Aprile saprà abbattere anche il divario.
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