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Il potere finanziario delle banche e la storia d’Italia
13 Feb 2016 09:00

Senza denari non si cantano Messe, dice un antico proverbio. Le vicende greche delle ultime settimane lo dimostrano ancora una volta. I debiti finanziari con l’Unione europea e i rubinetti chiusi alle banche elleniche sono diventati un trauma drammatico per un Paese di così antica storia come la Grecia.

Senza la civiltà greca non ci sarebbe stata la cultura europea e occidentale. Ma la finanza e i calcoli matematici su monete e bilanci sovrastano e annullano tradizioni, identità e gli immortali valori spirituali che hanno costituito l’anima profonda di una civiltà. E’ la modernità, ci piaccia o no. E’ la convivenza ridotta a moneta, la solidarietà a optional.

Una trasformazione che nel mondo capitalistico occidentale ha almeno due secoli di vita, Naturalmente, anche nell’Italia dell’800 certi princìpi furono applicati e suggellati da chi era proiettato, con la sua cinica politica, verso il nuovo offerto dalla storia: lo Stato del Piemonte e il suo primo ministro Camillo Benso conte di Cavour.

Si esaltano sempre le opere pubbliche che fu in grado di realizzare il piccolo Stato con capitale Torino, ferrovie in testa. Quelle opere, naturalmente, furono possibili solo attraverso grossi debiti con le banche e sovraesposizioni finanziarie che fecero scrivere a Francesco Saverio Nitti: “Nel Regno di Sardegna, le imposte avevano raggiunto limiti elevatissimi, dove il regime fiscale rappresentava una serie di sovraesposizioni continue fatte senza criterio; con un debito pubblico enorme, su cui pendeva lo spettro del fallimento”.

A seguire, lo statista lucano inserì un’aggiunta, che offre interessanti chiavi di lettura finanziarie all’unificazione italiana, raccontata quasi sempre come risultato unico di un’idea-forza dalle spinte ideali e dagli alti valori culturali-politici: “Senza togliere nessuno dei grandi meriti che il Piemonte ebbe di fronte all’unità italiana, bisogna del pari riconoscere che, senza l’unificazione dei vari Stati, il Regno di Sardegna per l’abuso delle spese e per la povertà delle sue risorse era necessariamente condannato al fallimento”.

Così come si disse che, senza euro, unificazione monetaria e regole comuni di politiche di bilancio, gli Stati europei sarebbero stati condannati a perdere economicamente contro l’offensiva di Cina, Stati asiatici e Stati Uniti, così anche sull’unificazione italiana pesò la minacciosa ipoteca dello stato di necessità finanziario della Nazione che la pilotò.

Il tremendo 1853 di crisi economica costrinse Cavour a contrattare un prestito con le banche del barone Rothschild per oltre 66 milioni nominali al tasso del 3 per cento. Fu concluso “a condizioni assai onerose” riconosce Adriano Viarengo, biografo e studioso di Cavour, fruttando solo 45 milioni. Quell’anno, le previsioni di bilancio a Torino calcolavano 147 milioni di spesa per poco più di 107 milioni di entrate. La formula risolutiva fu quella ricorrente anche oggi: riduzioni di spese e aumento di tasse.

Nel 1855, all’avvicinarsi dell’ipotesi di partecipare alla guerra di Crimea, le entrate in Piemonte erano di 129 milioni con spese di 158 milioni. La spedizione militare fu una necessità diplomatica, sollecitata dall’Inghilterra per esigenze militari e politiche delle Nazioni alleate contro la Russia. Per dire sì, naturalmente, Cavour aveva bisogno di soldi. Prestiti bancari che, manco a  dirlo, arrivarono dall’Inghilterra.

Scrisse Cavour al suo ambasciatore a Londra, Emanuele D’Azeglio: “Se non posso annunciare alla Camera che l’Inghilterra ci ha trasmesso la prima rata del prestito prima che le truppe partano per la Crimea, sarò lapidato. Cercate di ottenere subito le 200mila sterline”. E, per l’importanza di quei soldi da ottenere, Cavour curò personalmente le trattative sui prestiti con le grandi case bancarie Hambro e Rothschild.

Alla fine, arrivarono 25 milioni di crediti bancari inglesi ad un tasso di interesse del 3 per cento. A quello, seguirono altri due prestiti, sempre dalle stesse banche, con interessi versati fino agli inizi del Novecento. Li pagarono, attraverso le tasse, tutti gli italiani, non solo quelli che nel 1855 erano sudditi dello Stato piemontese.

E’ la finanza che influenzava le politiche anche di quel tempo, costringendo a scelte violente e interventi militari, per ampliare i mercati e piazzare titoli pubblici necessari a dare ossigeno alla produzione delle industrie indebitate con le banche. Lo scenario greco ed europeo di oggi è sotto gli occhi di tutti. Giornali e tv martellano anche con speciali notturni, ognuno può documentarsi, approfondire e ricavarne convinzioni personali. Lo scenario di ieri, quello legato alla storia dell’unità d’Italia, è meno conosciuto. Ognuno, però, se ne è incuriosito, può approfondirlo. Basta rivedere, con qualche curiosità in più, un po’ di nostra storia.

Fonte: Blog Controstorie su Il Mattino.it


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