La prova di forza imposta da Renzi con l’elezione di Mattarella ha strappato il velo e denudato la situazione reale che preesisteva. Ora è diventato evidente che il centro destra, se rimane in una situazione di subalternità a Renzi, semplicemente sparisce, sparisce prima ancora di separarsi irrimediabilmente dalla Lega…
Meno di un anno fa, alle elezioni europee, hanno perso buona parte dei loro elettori. E’ passato un anno e si accorgono di perdere anche gli eletti. Ben 160 parlamentari hanno già cambiato casacca. Chi sono? Sono gli alleati di Renzi: il Nuovo Centro Destra di Alfano, Scelta Civica un tempo di Mario Monti, Forza Italia di Berlusconi. Tutti “responsabili”… Alle vongole. A vantaggio di chi perdono? Di Matteo Renzi, naturalmente. Questione di carisma, di leadership, di attrazione magnetica e di potere. La giovanile baldanza del nostro premier non è evaporata alla prova dei fatti; semmai si è consolidata, e anche indurita, nell’esercizio del comando, nell’accumulo di potere e nella generale sottomissione. Comando pieno, risoluto, spregiudicato che lascia agli alleati poche chances: se gli stai vicino e lo assecondi Renzi ti toglie spazio, identità, capacità di iniziativa autonoma. Se un alleato vuole qualcosa gliela può anche concedere, ma allora apparirà ancora più chiaramente che è lui che decide. Infine ti stringe, ti immobilizza e ti prosciuga.
In verità, sorte analoga è capitata anche a chi alleato di Renzi non è, ma non è abbastanza distante. Così Sinistra Ecologia e Libertà (SEL), il partito di Nicki Vendola, decimato nella sua maggioranza parlamentare a vantaggio del Partito Democratico, oggi è sotto il livello delle europee, sulla linea di galleggiamento appena fuor d’acqua. Idem il Movimento Cinque Stelle: cacciati o emigrati, aumentano i transfughi per un qualche dissenso, per un sospiro di ribellione, per lo sfinimento di un Grillo che non fa più ridere, non fa più notizia, non fa. Eppure, nei sondaggi è ancora al 20% mentre è cresciuta la Lega di Salvini. Insomma, i soli a reggere o a rafforzarsi sono i partiti anti sistema, anti euro, anti Renzi. Il ciclone Renzi ha squassato il pavimento politico, ma se deputati e senatori, di destra e di sinistra, lasciano i partiti da cui hanno ricevuto il mandato non è solo in virtù di Renzi. E’, soprattutto, conseguenza della molle inconsistenza di partiti inventati e della pochezza di un Parlamento pieno zeppo di nominati, non di eletti. Deputati e senatori inventati dai rispettivi capi, alla prima difficoltà si gettano in braccio a un altro leader, a un nuovo capo che sembra avere più stoffa e poter disporre di più seggi da distribuire al prossimo giro elettorale. Vecchi o nuovi non sono abituati a conquistarsi il seggio disputandolo – davanti agli elettori – all’avversario della parte avversa, han preso l’abitudine di venir issati su un seggio parlamentare dal capo di turno.
Già, le prossime elezioni. Renzi le vorrebbe a scadenza naturale e la scadenza naturale sarà il 2018. Mancano più di tre anni, un’eternità o comunque uno spazio temporale più che sufficiente per definire, a modo suo, – cioè, spesso, malamente – regole e confini del nuovo sistema politico. Quello che oggi scorgiamo in embrione e che sembra destinato a sostituire quello su cui si è imperniata la seconda repubblica. L’alternativa tra centro destra e centro sinistra cede il passo a un partito centrale, egemone, un partito unico del potere politico, pubblico, istituzionale e di governo; unico perché nettamente più forte di ciascuno dei suoi rivali divisi. Grillo, Salvini, Berlusconi, Alfano, tutti inconciliabili, non sono in condizione di fare altro che di perdere, di perdere tanto a lungo quanto campano. Politicamente parlando s’intende.Poco più di un anno fa, con le primarie, Renzi ha conquistato il Partito Democratico con l’esplicito programma di rottamare la sua vecchia classe dirigente e di sostituirla con una nuova. Ero stato facile profeta nell’annunciare che da quel momento cominciava il count-down per il governo Letta. (Onestamente bisogna riconoscere che i motivi c’erano tutti e tutti ruotavano intorno alla scarsa incisività di quell’esperienza di governo). Insomma, preso il partito, Renzi ha preso anche il governo. Giustamente, aveva fretta di rompere una situazione stagnante in cui il Partito Democratico declinava insieme con le sue componenti storiche, i post comunisti e i post democristiani di sinistra. Io non credo che quelle culture politiche facciano eccezione al generale dissolvimento di tutte le tradizioni politiche italiane. Non ci sarebbe il motivo. Tantomeno la novità. Del resto è anche vero che nel confronto diretto dentro lo stesso schieramento gli esponenti ex democristiani – il due volte vittorioso Prodi, poi Rutelli e Letta – hanno espresso la leadership più frequentemente degli ex PDS -Veltroni e Bersani – entrambi sconfitti con onore.
La subalternità dei post comunisti ai postdemocristiani non è cominciata con Renzi, ma la novità è Renzi, non Mattarella. Novità è stato anche sciogliere in un istante lo storico dilemma dell’adesione o no del Partito Democratico al Partito Socialista Europeo, spiazzando i refrattari: gli a-socialisti come Veltroni e come i popolari ed ex Margherita, da Franco Marini a Sergio Mattarella. “Era la cosa più logica da fare, – ha detto Renzi – il gruppo socialista europeo oltre a essere il più affine, è quello dentro il quale possiamo esercitare il ruolo più importante, potremmo diventarne il primo partito”. Così Renzi ha sbrigato e chiuso anche la “pratica” del socialismo italiano ed europeo. Intanto, il Partito Democratico ha occupato il centro del sistema politico. Certo, al suo interno, sopravvive una tradizione, un retaggio di sinistra, operaia e di ceto medio, che però si è gestita senza alcuna volontà e capacità di innovazione. Nel lessico di D’Alema i post-comunisti cercavano ancora di ribellarsi al destino di “essere figli di un dio minore” ed esprimevano ancora l’ambizione alla leadership. Nel lessico di Bersani, improntato a una bonomia un po’ rinunciataria, il partito è diventato “la ditta”. E “la ditta” non avendo più una strategia, un prodotto e un marketing, cioè, in termini politici, idee, energie, leadership e appeal – si è dissecata e sta cadendo come le foglie morte, mentre la sua giovane generazione, l’ultima dei post-comunisti, è in tutto o in parte, perplessa o persuasa, ormai schierata con Renzi. Del resto, come potrebbe esserci un’alternativa all’interno del Partito Democratico se non c’è una nel paese? E, allo stato, nel paese non ci sono nemmeno opposizioni di un qualche peso, qualcuno o qualcosa che assomigli a un’opposizione vera non c’è.
Di Grillo s’è detto che non fa politica e di un’alternativa, almeno potenziale, non c’è né l’ombra e neppure il sogno. E’ questo il problema democratico italiano: o rinasce il centro del centro-destra e con esso il bipolarismo o rinascerà una Democrazia Cristiana 2.0, il partito di Renzi, un partito centrale e pigliatutto, che tiene prigioniero quel che rimane della vecchia “ditta” di sinistra mentre erode spazio politico e consensi elettorali al vecchio, esausto centro destra costringendo i superstiti a scegliere: “o me o Salvini”. Fino a ieri con tanto di benedizione di Berlusconi. Ora, la prova di forza imposta da Renzi con l’elezione di Mattarella ha strappato il velo, denudato la situazione reale che preesisteva. Ora è diventato evidente che il centro destra, se rimane in una situazione di totale subalternità a Renzi, semplicemente sparisce, sparisce prima ancora di separarsi irrimediabilmente dalla Lega. In assenza di qualcuno che lo fermi Alfano sembra ostinarsi nel perseguire l’auto annientamento.
Viceversa, Salvini ha proiettato la Lega, affratellata con il Front National di Marine Le Pen, a una vittoria personale ed elettorale di partito, dando per scontata la sconfitta dello schieramento di centro destra. Solo una coalizione rinnovata e la possibilità di cercare la vittoria contro Renzi potrebbe far desistere Salvini dal suo disegno roboante ma a vocazione minoritaria. Questa verità è diventata un’evidenza così stringente che persino Berlusconi ne ha preso atto annunciando che d’ora in poi farà un’opposizione seria, “a 360 gradi” e che ricostruirà il centro destra. Presto vedremo cosa seguirà a questi proponimenti. Quale occasione migliore di quella offerta dall’imminente discussione su una brutta legge elettorale e una pessima riforma del Senato? Berlusconi avrà il coraggio e l’intelligenza di contro proporre a Renzi e al suo cambiare per cambiare una vera riforma? O s’incaponirà come al solito inseguendo qualche utilità marginale presunta – tipo i capilista bloccati o il premio alla coalizione anziché al partito – e perdendo di vista la possibilità di cambiamenti sostanziali? In questo secondo caso non solo perderà la battaglia con Renzi ma anche quella per ritornare protagonista e ricompattare il centro destra. Viceversa una proposta seria e una battaglia seria potrebbero riaprire la discussione anche nel Partito Democratico, anche nel Movimento 5 Stelle. Un leader unico, un partito unico, una Camera unica contengono il rischio di un monopolio del potere e i monopoli del potere non piacciono alla gente e neanche a molti parlamentari.
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