“Non voterò mai più accordi come quello con la Turchia per la gestione dell’emergenza dei migranti” mi ha scritto attraverso una lettera aperta su Linkiesta l’europarlamentare e collega del Gruppo S&D Daniele Viotti.
È un messaggio forte, che intercetta le preoccupazioni di molti. Il caso turco dimostra che in gioco non c’è più semplicemente l’Unione Europea in quanto costruzione istituzionale, ma quel complesso di valori e libertà fondamentali che dovrebbero essere i pilastri della nostra civiltà.
Ma, se vogliamo cambiare registro con la Turchia, bisogna cominciare ad adempiere ai nostri doveri. Non dimentichiamo che in passato siamo stati costretti a “stringere patti col diavolo” anche perché l’Unione Europea e gli Stati membri non hanno saputo assumersi le loro responsabilità.
Nel caso turco, in particolare, si è pensato di delocalizzare la gestione dei rifugiati dando l’impressione di consegnare un assegno in bianco ad Erdoğan. Ma abbiamo imparato che la realpolitik fine a se stessa non porta da nessuna parte.
Qui la mia risposta completa alla lettera di Daniele Viotti:
Caro Daniele,
grazie per il tuo messaggio. Capisco il senso delle tue parole.
Il voto inglese e gli ultimi sviluppi in Turchia sono chiari indicatori della gravità del momento.
Il caso turco dimostra in particolare che in gioco non c’è più semplicemente l’Unione Europea in quanto costruzione istituzionale. Oggi sono minacciati i valori della democrazia, il rispetto delle libertà fondamentali e dello stato di diritto che dovrebbero essere i pilastri della nostra civilizzazione e non solo del progetto europeo.
Di fronte al rischio di una regressione civile che cancelli decenni di progressi democratici, condivido il tuo appello per un cambio di prospettiva. Vi sono valori non negoziabili, su cui non si può transigere e se l’Unione Europea pensa di cavarsela con gli accordi al ribasso, sbaglia. Su questo vigileremo.
Credo però che per trovare la via d’uscita dall’impasse nella quale ci troviamo ora sia più che mai indispensabile comprendere che etica della convinzione e etica della responsabilità si tengono insieme.
Se in passato siamo stati costretti a “stringere patti col diavolo” non è solo per una mancanza di convinzione e una arrendevolezza etica di fronte al despota di turno ma soprattutto perché l’Unione Europea e gli Stati membri non hanno saputo assumersi le loro responsabilità. Nel caso turco, si è pensato di delocalizzare la gestione dei rifugiati a Erdogan perché gli Stati membri non hanno voluto rispettare gli impegni presi in termini di ricollocamento dei rifugiati, nonostante le proposte presentate dalla Commissione su questa materia.
E pur di non assumersi le proprie responsabilità, si è data l’impressione di dare un assegno in bianco nelle mani di Erdogan.
Se vogliamo cambiare registro con la Turchia, è giusto quindi cominciare ad adempiere ai nostri doveri. Nessun altro ci salverà dalle emergenze, se non noi stessi.
Sono quindi d’accordo a rimettere sul tavolo la questione della liberalizzazione dei visti – di fatto la principale arma che abbiamo nei confronti delle autorità turche- ma per essere davvero efficaci ciò dovrà essere accompagnato da una nostra assunzione di responsabilità. Duri con la Turchia ma duri anche con noi stessi, quindi.
Caro Daniele, dobbiamo imparare a fondo la lezione turca: mai più realpolitik fine a se stessa che oltre a farci perdere l’anima non ci porta nemmeno a risolvere i problemi. Su questo il tuo gruppo, il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, lavorerà con te.
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